Addio Remy Julienne: lo stuntman di James Bond

Rémy Julienne, uno dei più rinomati stuntman del cinema francese, divenuto noto anche per aver affrontato molte scene di inseguimenti in auto nei film di James Bond, è morto venerdì, di Coronavirus, all’età di 90 anni.

Nato nella città di Cepoy nell’aprile 1930, lavorò in centinaia di produzioni cinematografiche con grandi attori come Jean-Paul Belmondo, Alain Delon e Harrison Ford, così come con Sean Connery e Roger Moore in James Bond.

L’inizio: camionista e motociclista

Prima di passare al cinema, aveva iniziato la sua carriera professionale come camionista nell’azienda del padre, dopo aver terminato il servizio militare. Parallelamente partecipò a gare motociclistiche ed è stato campione francese di motocross nel 1957.

L’ingresso nel cinema negli Anni ’60

Quando aveva 34 anni il regista André Hunebelle cercava motociclisti e così iniziò le sue collaborazioni cinematografiche in “Fantomas” (1964), con Louis de Funès e Jean Marais. Lì conobbe una leggenda tra gli specialisti, Gil Delamare, con cui lavorò per tre anni fino alla sua morte nel 1966, proprio durante una sparatoria.

Con il successo de “La Grande Vadrouille” (1966), in cui si occupò degli inseguimenti in macchina, la sua fama crebbe e iniziò a lavorare con grandi nomi del cinema francese ed europeo come Gérard Oury, Georges Lautner, Claude Lelouch, François Truffaut, Herni Verneuil e Sergio Leone.

Lavorò anche nelle serie televisive, nella pubblicità e perfino la giustizia richiese la sua assistenza nella ricostruzione di alcune scene del crimine. Inoltre, nel 1979 ha partecipò a una serie di crash test per dimostrare,  l’efficacia delle cinture di sicurezza in caso di incidente.

La carriera con James Bond

La sua carriera prese una nuova svolta nel 1978 quando ricevette una richiesta per la dodicesima edizione di James Bond e collaborò anche negli episodi successivi della saga, fino al 1995.

La sua esperienza in Taxi 2, girato nel 1999, fu probabilmente l’episodio più nero della sua carriera a causa della morte di un cameraman, per la quale fu anche processato, condannato in primo grado ma poi graziato dalla Corte Suprema.

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