La differenza principale tra un’auto ibrida e una tradizionale sta nel fatto che la prima ha a disposizione più motori, di cui almeno uno elettrico. Tuttavia, come abbiamo ribadito in molte occasioni, all’interno di questa grande famiglia esiste una gran varietà di tipologie, tutte omologate come ibride sul libretto di circolazione ma in realtà molto diverse per filosofia e funzionamento.

Si va infatti dalle più semplici ibride leggere o mild hybrid, in cui il motore elettrico non muove il veicolo ma aiuta quello principale, alle “vere” ibride, full hybrid o plug-in, dove la parte elettrica ha invece un ruolo più importante.

C’è però un’altra cosa che tutte hanno in comune, oltre all’omologazione e al diritto di usufruire di incentivi e agevolazioni: l’aggiunta del motore elettrico, semplice o complesso che sia il suo compito, comporta anche una serie di modifiche ad alcune componenti di contorno del motore e, via via che si passa a forme di ibridizzazione più sofisticate, anche al motore stesso e alla trasmissione.

Mild-hybrid, non c’è soltanto il “booster”

Già nei sistemi più semplici, come i mild-hybrid, in cui il motore elettrico aiuta quello endotermico facendogli da start/stop e da booster in accelerazione, ci sono un bel po’ di caratteristiche che differenziano le auto elettrificate da quelle “normali”. Questo perché i sistemi mild consentono in realtà al motore principale di spegnersi in alcune situazioni – quando l’auto non è ancora ferma – per risparmiare energia, come facevano in passato gli start/stop più evoluti, come l’e-HDi di Peugeot e Citroën.

Ma quando il motore si spegne, occorre garantire la continuità ad alcuni servizi ad esso collegati (come ad esempio la pompa del servofreno) e anche l’alimentazione della rete di bordo. Un tempo anche il servosterzo dipendeva dal motore, mentre oggi la quasi totalità dei modelli è passata all’assistenza elettrica sgravando i motori a scoppio da quel compito.

Ecco perché anche le ibride più semplici sono dotate di dispositivi elettrici che vengono in aiuto facendo sì che – anche a motore spento – l’auto continui a funzionare. E non è tutto: per fare l’esempio più recente dei nuovi ibridi leggeri di FCA, ossia Fiat 500 Hybrid, Fiat Panda Hybrid e Lancia Ypsilon Hybrid, scopriamo che il motore ha un basamento ottimizzato per raggiungere prima la temperatura d’esercizio, proprio considerando il fatto che si spegne e riaccende di frequente.

Questo perché il sistema FCA è dotato anche di una funzione di “veleggiamento”, che al di sotto dei 30 km/h suggerisce al conducente di mettere il cambio in folle e lasciar scorrere l’auto, e provvede appunto a spegnere il 3 cilindri 1.0 a benzina anche in queste fasi di marcia “passiva”, durante le quali la batteria alimenta anche la rete di bordo. Insomma, una serie di accorgimenti non male per quella che è la forma di ibrido più basilare.

Un ibrido mild quasi full

Ci sono poi mild hybrid che in realtà si avvicinano un po’ alle caratteristiche dei full e di conseguenza, con l’evoluzione delle funzioni, le modifiche diventano via via più importanti: qui l’esempio migliore è sicuramente l’e-Boxer di Subaru lanciato sulla XV, la Forester e la Impreza, che abbina al motore termico 2.0 benzina un’unità elettrica da 12,3 kW integrata nel cambio CVT Lineartronic.

Definito “mild” perché non ha una vera e propria funzione di marcia elettrica, in realtà ha un motore elettrico integrato – come detto – nel cambio, che fa partire l’auto lasciando spento il propulsore a benzina. In più, se la batteria è carica, può far percorrere all’auto (con piede leggerissimo) fino a 1,5 km a zero emissioni.

Sempre parlando del modulo Subaru, oltre alla batteria da 0,6 kWh che alimenta appunto il sistema ibrido ed è posizionata sotto il piano di carico, sotto al cofano motore sono presenti altre 2 batterie. Una è dedicata esclusivamente al sistema ISG (Integrated Starter Generator) che avvia il benzina senza togliere energia agli altri sistemi di bordo, mentre la seconda è quella classica “di servizio” che alimenta l’impianto elettrico della vettura.

Con questo nuovo powertrain, Subaru ha lavorato molto anche sul motore termico siglato FB20, che risulta nuovo per l’80% ed è accompagnato da una pompa olio ad alta pressione elettrica e da una frizione aggiuntiva con valvola di controllo che permette di scollegare il boxer nelle partenze (a cui provvede il solo motore elettrico) e di ricollegarlo quando occorre.

Il motore termico delle ibride “vere”

Sulle ibride propriamente dette, le full hybrid, i motori si alternano provvedendo alla propulsione dell’auto in modo variabile, a secondo delle situazioni e delle risorse energetiche disponibili. Quindi l’interazione è più complessa e il motore a scoppio si accende e spegne con più frequenza, rimanendo spento a volte anche a lungo. Dunque, tutto quanto spiegato in precedenza qui è amplificato, ma soprattutto il motore stesso spesso è molto diverso da quelli montati sui modelli non ibridi.

L’esempio migliore lo fornisce quella che è considerata la “mamma” di tutte le ibride, la Toyota Prius, con la tecnologia poi estesa a Yaris, Corolla, C-HR, Rav4, eccetera, senza contare molti modelli Lexus basati sullo stesso principio. Il motore a benzina, infatti, funziona con un particolare ciclo battezzato Miller-Atkinson, che in parole semplici consente di migliorare l’efficienza portandola a circa il 40%, anche se al costo di prestazioni più limitate. A cui si va a sopperire, dove possibile, con la coppia del motore elettrico.

Nel caso specifico della Prius, il motore a benzina è un 1.8 a 4 cilindri che eroga circa 90 CV. Pochi per la cilindrata, ma compensati appunto dall’azione del motore elettrico. Questo permette di contenere i consumi – offrendo percorrenze che superano anche i 30 km/litro – e di emettere una media di 80 g/km di CO2, nonostante le dimensioni.

Sulla Prius e sulle altre ibride “full” o plug-in, l’alternanza tra i due motori è continua, dunque tutti gli organi ausiliari – come la pompa del servofreno e del climatizzatore – sono azionati elettricamente, così come il servosterzo, che ha anticipato un’evoluzione arrivata poi anche sulle vetture convenzionali, con l’abbandono dei sistemi idraulici anche per ragioni di risparmio energetico.

Cosa cambia nei cambi

Oltre al motore, anche la trasmissione di un’ibrida è spesso molto speciale: la già citata Prius – e dopo di lei la Yaris, la C-HR e tutte le ibride del Gruppo (compresa la Lexus CT, basata sullo stesso gruppo propulsore) – non hanno né un cambio manuale né un automatico convenzionale, ma utilizzano il sistema E-CVT. Si tratta di un gruppo di ingranaggi in grado di coordinare i due motori e al tempo stesso simulare il comportamento di una trasmissione a variazione continua.

Un altro esempio di adattamento della trasmissione alle esigenze dell’ibrido è il recente modulo di PSA, offerto – tra le altre – su specifiche versioni di Peugeot 3008 e 508, DS 7 Crossback e Citroën C5 Aircross. Il sistema utilizza lo stesso cambio a 8 rapporti dei modelli non ibridi, ma in una variante specifica chiamata e-EAT8 (electric Efficient Automatic Transmission a 8 marce). Questa, al posto del classico convertitore di coppia, ha una frizione multidisco in bagno d’olio che consente di scollegare del tutto il motore a benzina quando l’auto viaggia in elettrico,

In questo modo si eliminano i trascinamenti idraulici del convertitore, che finirebbero anche per influire sui consumi, si rendono più fluidi i passaggi di consegne tra un motore e l’altro e infine si ottiene anche un aumento della coppia trasmessa, che cresce di 60 Nm.

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