L’esagerato calendario da 24 gare della F1 per il 2023 fa perdere di significato i singoli eventi. E dimostra che l’unico capitale che per la FIA e Liberty Media non conta è quello umano


21 settembre 2022

24 gare per il ’23: è un calendario monstre, quello approvato ieri dal Consiglio Mondiale della FIA. Si tratta in un record assoluto per la categoria, che nell’arco degli ultimi anni ha optato per un sensibile aumento delle corse. Fino al principio del nuovo millennio, si era rimasti nell’ordine delle 16-17 gare stagionali. Nel 2005 il picco di 19 GP, raggiunto nuovamente a inizio anni Dieci. Nel 2012 si toccò la quota record di 20 corse, battuta nel 2016, con una stagione da 21 gare. Poi l’exploit: nel 2020, se non ci fosse stata la pandemia, la F1 avrebbe disputato 22 gare, obiettivo raggiunto l’anno successivo. Nel 2022 in calendario c’erano 23 GP, ma la cancellazione del GP di Russia ha impedito di raggiungere un primato che sarà agevolmente battuto il prossimo anno.

Liberty Media e la FIA stanno peccando di ingordigia. Con 24 gare in calendario, il singolo evento perde necessariamente di importanza. Quando venivano disputate meno corse, ciascuna aveva la propria rilevanza. E, soprattutto, c’era il tempo necessario per analizzarle al meglio, lasciandole decantare. Nel calendario 2023 ci sono due triplette e un certo numero di doppiette. Inevitabilmente, lo spazio per analisi approfondite diminuisce. È una F1 usa e getta, in cui all’indomani di una corsa è già tempo di occuparsi della successiva. 

Si dirà che questo è un problema che concerne solamente i giornalisti, ed è vero. Ma ci sono altri motivi per cui un calendario da 24 gare è davvero al limite. La prima concerne la salute fisica e mentale di chi lavora in F1. Ci riferiamo soprattutto ai meccanici, al personale chiamato ad allestire e smontare. Donne e uomini che arrivano in loco ben prima dei papaveri della dirigenza, che spesso in passato hanno mostrato ben poca empatia. In F1 è così – sostengono – chi non regge lasci posto ad altri. Ma è facile parlare viaggiando in business class e arrivando in tranquillità il giovedì pomeriggio, se non il venerdì mattina. 

Chi si sporca le mani corre davvero il rischio di farsi del male, nel caso in cui arrivi già spossato all’ennesima gara consecutiva. Già in occasione di alcune trasferte dello scorso anno si sono verificati infortuni. Per non parlare degli attacchi di panico, di cui – anche se non se ne parla, perché mostrare le proprie debolezze è ancora un peccato capitale – molti soffrono in un ambiente di squali, in cui abbassare la guardia non è consentito. Vedendo gare back-to-back come Baku-Miami e Las Vegas-Abu Dhabi, viene da pensare che il benessere psicofisico degli addetti ai lavori vada in secondo piano. 

Così come secondaria resta pure l’attenzione all’ambiente. Nonostante i proclami della F1, che ambisce alle emissioni zero entro il 2030, la realtà racconta di un calendario ben diverso dall’idea di un’agenda con corse raggruppate per area geografica. Non è difficile configurarsi quale possa essere l’impatto ambientale di un carrozzone che viaggia per il mondo senza razionalizzare in alcun modo le trasferte. E se riunire tutte le gare dello stesso continente in un unico gruppo è infattibile per qualsivoglia motivo, la soluzione più semplice sarebbe ridurre il numero di gare stagionali.

Ma non succederà. Anzi, il rischio è che si trovi pure un escamotage per superare il limite di 24 gare a campionato stabilito dall’attuale Patto della Concordia. La F1 è diventata pop, attirando non solo l’attenzione del pubblico generalista, ma anche di tanti circuiti, che stanno facendo a gara per entrare in lizza. E siccome pecunia non olet, non abbiamo dubbi che Liberty Media continui a capitalizzare. Perché l’unico capitale che non conta per l’azienda è quello umano. 

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