Si è spento a 81 anni dopo una vita trascorsa nel mondo dei motori. Max Mosley è stato il presidente della FIA che negli ultimi decenni si è più battuto per le modifiche regolamentari, specialmente dopo la morte di Senna a Imola. Ma la sua storia è legata a doppio filo ad avvenimenti sportivi e politici. Figlio del presidente del partito fascista inglese, sir Oswald, per Max si è trattato di un fardello pesante da portarsi dietro, tanto che nel 2009, a seguito di una intercettazione video di un festino privato, dovette praticamente farsi da parte dal ruolo di presidente della FIA, anche se fino a quel momento aveva sempre operato nel massimo della correttezza e della passione.

Il passato di Mosley, però, più che essere legato al genitore e alla politica, è sempre stato legato al mondo delle corse. Infatti era pilota in F.2 con una Brabham del team di Frank Williams e fu fra i soci fondatori della March, la scuderia che dal 1969 al 1992 ha disputato 197 GP con tre vittorie, l’ultima delle quali a Monza nel 1976 con Ronnie Peterson. Poi la March, la cui sigla si deve a Max Mosley, Alan Rees, Graham Coacker e Robin Herd, è diventata Leyton House con la quale ha corso anche Ivan Capelli. Smessi i panni di pilota e team manager, laureato in legge, avvocato con la conoscenza parlata e scritta di diverse lingue (oltre all’inglese, francese, spagnolo, italiano, tedesco, tanto per dirne alcune) grazie ai contatti nel mondo delle corse e a livello internazionale, divenne presidente della FIA con un unico obiettivo: valorizzare il pilota.

L’idea delle gomme scanalate, che riducevano la tenuta in curva a vantaggio dell’abilità del pilota, fu sua. Così come l’introduzione di misure di sicurezza sempre più massicce, come le protezioni per il capo, la riduzione della potenza dei motori, l’adeguamento delle piste e norme diverse nelle procedure mediche e di sicurezza in pista. L’idea dalla pista alla strada in pratica è nata con lui, che aveva una visione molto ad ampio spettro di cosa dovessero rappresentare le corse per la gente comune.

Animato da grande passione, con Bernie Ecclestone ha di fatto creato quel dualismo fra braccio e mente, in apparenza in contrasto, ma sempre nella stessa direzione per scelte e decisioni. Persona dalla grande eleganza, sapeva muoversi fra i salotti della politica e i box senza perdere l’aplomb che lo distingueva. Era sempre molto disponibile a parlare con la stampa e lo faceva sempre nella lingua dell’interlocutore per mettere a proprio agio tutti. “Max per me era come un fratello” ha detto Bernie Ecclestone “ha sofferto per tanto tempo, era uno della mia famiglia”.

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