Daniel Ricciardo non si meritava il sedile in RB che ha occupato forse per l’ultima volta a Singapore. Ma un addio alla Formula 1 degno, questo sì
Daniel Ricciardo avrebbe potuto essere campione del mondo di Formula 1. Sembra impossibile pensarlo, vedendo i suoi occhi carichi di pianto nel video che sta facendo il giro dei social dopo quella che potrebbe essere stata la sua ultima gara nel Circus, ma è così. Nel 2016 il pilota più convincente fu proprio lui, capace di sfruttare appieno il suo peculiare stile di guida, con quelle staccate profondissime che erano ormai diventate il suo marchio di fabbrica, per perfezionare sorpassi che galvanizzavano il pubblico. Se la sua Red Bull fosse stata al livello della Mercedes delle meraviglie di Hamilton e Rosberg, staremmo raccontando una storia diversa.
Ma quel potenziale di gloria era destinato a non concretizzarsi mai. L’arrivo di Max Verstappen in Red Bull sovvertì gli equilibri interni a tal punto da indurre Ricciardo a una scelta di pancia, fuggendo prima in Renault e successivamente in McLaren, dove avrebbe visto ridimensionare la percezione del suo talento. Ritrovatosi a guidare delle monoposto che non gli consentivano di approcciare le curve disegnando una traiettoria a U, non potendo contare su un grip sufficiente per ruotare la macchina a centro curva con un retrotreno stabile, Daniel non è più stato lo stesso.
Di fronte alla necessità di dover adattare sensibilmente il proprio modo di guidare per avere ragione della sua monoposto, Daniel si è completamente perso. Un pilota come lui, abituato ad avere un approccio prettamente istintivo alla guida, non è riuscito ad affrontare razionalmente l’adattamento a monoposto che non si sposavano con il suo stile. Il risultato è lo stesso di quando si cerca di pensare a un’azione quotidiana spacchettandone i gesti: perdono di senso. Intrappolato in una situazione paralizzante, Ricciardo ha mostrato chiaramente il suo più grande limite: l’incapacità di adattarsi.
Questa mancanza di flessibilità era impossibile da ravvisare all’inizio della sua avventura in Red Bull, quando aveva a disposizione vetture che lo aiutavano a far emergere il suo talento. Il Ricciardo successivo, peraltro, non sarebbe stato solo poco malleabile, ma pure incostante. Lo si è intuito chiaramente nei due scampoli di stagione vissuti con quella che oggi si chiama RB. Si sono visti lampi di un talento che sembrava perso nel tempo, ma ci sono stati troppi alti e bassi. Ricciardo sembrava volersi aggrappare ai momenti in cui sentiva di non aver perduto smalto, ma sono stati troppo sporadici perché riuscisse a proseguire la sua avventura in F1. Stava tutta nelle sue mani, la possibilità di continuare, come ci aveva raccontato in una chiacchierata a Monza in cui era emerso il vero Ricciardo.
È facile cadere nella tentazione di considerare i piloti delle semplici maschere, soprattutto se, come nel caso di Ricciardo, hanno una personalità volitiva, che buca lo schermo. Ma Daniel, per quanto sia portato allo scherzo, è molto di più della sua disposizione d’animo solare. È tridimensionale, come ognuno di noi. Nascosti dietro il suo sorriso ci sono i pensieri tormentati di un uomo di 35 anni che vede arrivare la fine dell’esistenza che ha vissuto fino a questo momento, fatta di gestualità e di momenti che non torneranno più.
“Non ho paura della vita dopo la F1. Credo che troverò ancora tanta felicità sulla mia strada. Ma il mio spirito di competizione è tale che sarei triste se questo fosse il mio ultimo anno. Ho ancora il fuoco dentro di me”, ci aveva raccontato con la fierezza di chi non si vuole arrendere. Ci aveva detto di non essersi mai sentito solo, supportato com’era dal calore della sua famiglia e dei suoi amici, anche nei momenti più bui in McLaren. Ma aveva anche espresso tutta la sua frustrazione per quella competitività che gli sfuggiva proprio quando sembrava averla riacquistata.
La fragilità che avevamo percepito osservando gli occhi di Ricciardo animarsi durante la nostra conversazione si è manifestata chiaramente dopo la gara di ieri, quando Daniel, commosso, ha parlato dell’abitacolo della sua monoposto, dove era rimasto per un momento di riflessione prima di scendere dalla vettura. Era il suo posto sicuro, il luogo della consuetudine, dei rituali di un’intera carriera, ormai giunta al termine. Si parla tanto delle prime volte, in F1 come nella vita. Ma le ultime volte non sono per nulla facili.
Era impossibile non commuoversi di fronte alle lacrime di un pilota giunto al capolinea della sua carriera, per quanto a nostro avviso non ha sfruttato al massimo la seconda chance che gli era stata offerta. Non si meritava il sedile in RB per il 2025, e forse nemmeno per il resto della stagione, visto lo scalpitante Liam Lawson costretto come un leone in gabbia in panchina. Ma non si meritava nemmeno il trattamento che gli è stato riservato dalla famiglia Red Bull, a cui per anni ha affidato il suo destino.
Possiamo capire la necessità di prendere una decisione entro le scadenze previste contrattualmente cui ha alluso lo stesso Ricciardo, ma perché non annunciare il suo addio già prima di quello che con tutta probabilità è stato il suo ultimo weekend di gara in Formula 1? In questo modo, Daniel avrebbe ricevuto l’abbraccio di tutto il paddock senza gli omaggi frettolosi cui è stato costretto dopo la corsa di Singapore. Correndo in lacrime a salutare tutti: così finisce la storia in F1 dell’uomo che avrebbe potuto essere campione.