Inaspettato fino a un certo punto. Quando nell’ultimo CDA di Honda sono stati annunciati i programmi di produrre veicoli a emissioni zero, entro il 2030, e che tutte le risorse sarebbero state destinate a quel progetto, in pochi hanno capito che il programma F.1 fosse giunto alla fine. Dal Giappone fanno sapere che lo studio, la ricerca e la produzione di soluzioni a impatto zero è in mano allo stesso gruppo di tecnici che seguono il motorsport. Honda non è un colosso dell’auto, come si potrebbe pensare (lo è invece nelle moto) e le risorse destinate alla ricerca e sviluppo, di cui fanno parte anche la F.1 oltre al TCR e HRC, non sono illimitate e dovendo scegliere, si è pensato a un progetto a lungo termine, sacrificando la F.1 che, per inciso, con queste regole e questa situazione (leggi dominio Mercedes) avrebbe portato solo altre spese senza risultati concreti.

E da buoni pragmatici, i giapponesi hanno detto stop. Non è la prima volta che lo fanno e, ironia della sorte, lo fecero proprio alla vigilia del mondiale vinto dalla Brawn che rilevò il reparto corse Honda. Loro non vinsero nulla, l’unico mondiale F.1 della struttura dell’epoca (diventata poi Mercedes, per inciso) fu vinto col lavoro e le idee di Honda che invece mollò il colpo. A questo punto lo scenario F.1 viene rivoluzionato perché due top team, come Red Bull e Alpha Tauri, si ritrovano senza un motore per la stagione 2022, quello della rivoluzione tecnica. Dovendo correre con una vettura tutta nuova, non avere un motore adesso per quella data mette la squadra in una brutta situazione. A meno che non ci sia un ritorno ai motori Renault, tanto bistrattati e calunniati prima dell’arrivo degli Honda.

Non deve stupire la cosa, perché in F.1 il nemico di oggi è l’alleato di domani, e inoltre Renault è nella poco simpatica situazione di non avere team clienti con cui garantire entrate e forniture nel 2021, quindi da Enstone c’era già una disperata ricerca di un team cui fornire i V6 francesi. E la prima nel mirino sembrava proprio la Sauber, il cui contratto con Alfa Romeo era in scadenza nel 2021. A questo punto lo scenario diventa complicato, perché Mercedes non è detto rimanga nello stesso modo in cui siamo stati abituati e da FCA, con l’accordo PSA, non è detto che ci sia la volontà di avere un marchio della nuova società Stellantis come Alfa Romeo impegnato in F.1 senza grossi risultati.

Per Stefano Domenicali, che da gennaio sarà CEO di Liberty Media, un bel problema da risolvere, perché dovrà garantire entrate commerciali, ma per farlo dovrà avere un prodotto valido da vendere e senza Honda buona parte degli interessi in oriente vengono meno. Non solo, le norme anti inquinamento imposte dalla politica, stanno costringendo i costruttori verso investimenti notevoli verso ibridi e plug in, vetture complicate, costose, di alto livello che il pubblico poco accetta. Come dire che la politica impone, le Case si adeguano ma il mercato rifiuta.

E la politica allora costringe con imposizioni (leggi aumenti di certi carburanti, zone traffico limitato, divieti di circolazione e via così) a cambiare auto, che consumano lo stesso (se va bene) ma costano di più e vengono dopate solo da incentivi e rottamazioni. In uno scenario del genere i costruttori impegnati adesso in F.1 hanno altri problemi: Ferrari deve proseguire la tradizione con le GT sportive, Mercedes è impegnata nella ricerca e negli ibridi, ma ci sono altre categorie pronte a ricevere investimenti (e dal DTM si sono già ritirati). Resta Renault, che ha nell’alleanza con Nissan una diversificazione delle scelte strategiche e commerciali. Troppo poco come scenario per garantire una crescita della F.1 così come intesa oggi. Sarà questione di tempo, ma questo ritiro della Honda fa capire come il tempo sia l’unica cosa che manca e Domenicali lo sa bene.

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