Riyadh, Arabia Saudita, 6 Gennaio. Al Bar siamo anche talent scout. Anche in questo difficile campo i migliori. Chi credete che abbia tirato fuori Despres dalla tetra officina in cui languiva, convinto Peugeot a firmare Loeb, o invitato l’infreddolito autista Chagin a scaldare il suo Kamaz fuori dalla steppa russa? Beh, ora lo sapete!

Veniamo a noi. Quando Radio-Dakar ha gracchiato con voce sabbiosa Skyler Howes in testa alla gara delle Moto, e Henk Lategan al secondo podio tra le Auto, abbiamo alzato le spalle e confermato: l’avevamo detto, noi!

Henk Howes, Riverside, California, 28 anni, l’americano, non è un novellino della Dakar. È arrivato nel 2019, l’ha presa sottogamba e alla sesta ripresa è andato KO, una spalla fuori posto. L’anno successivo ha capito con chi e che cosa aveva a che fare, si è messo a studiare ed è venuto anche in Europa, e alla Dakar 2020 ha concluso al nono posto.

Impeccabile, l’Howes 2021 si presenta alla partenza con lo stesso spirito da apprendista stregone ma con un doppio catalizzatore nel marsupio. Un americano ha finalmente vinto la Dakar, anzi oltre a Brabec anche “Quattroruote” Currie, e questo deserto sconfinato su un territorio tre volte la Francia, in fondo gli ricorda il Deserto di casa sua, il Deserto californiano, e quello confinante del Nevada dove si è temprato con le corse del leggendario Casey Folks. Un altro fattore determinante è la matrice di crescita, coniugata e simile a quella di Brabec. Ricky è un “prodotto” dell’indisputabile esperienza di Johnny Campbell, Skyler ha il cromosoma morale di un altro grande purtroppo scomparso, Kurt Caselli. Notabilmente, Brabec e Howes sono cresciuti agonisticamente insieme spartendosi una buona fetta della gloria dell’ovest motoristico americano, Bajas, Reno, il Messico.

Howes non si fa illusioni, non ti regala niente nessuno. Te lo devi guadagnare. Per questo pensa più al suo “lavoro” che a vincere. Cioè, si è rigidamente auto-limitato per non correre dei rischi inutili e deleteri. Alla Dakar Howes ci è arrivato da “privatone”, si è sacrificato, ha rotto il salvadanaio, ha organizzato una raccolta fondi. Non abbasserà la guardia, non alzerà il morale. Il suo obiettivo è dare il massimo senza andare oltre, e guadagnarsi un “posto di lavoro” in un Team ufficiale. La sua passione da “moderato” gli dice anche questo. Che è una dote gigantesca, se ci pensate bene.

Henk Lategan, Vanderbijl Park, Sud Africa, 25 anni, viene da un’altra parte del mondo e da un altro mondo. Suo padre ci dava dentro con i Rally, più che altro dalla parte del navigatore, e quando il figlio ha compiuto 15 anni ha pensato bene di farlo salire in macchina accanto a sé, non a spasso ma in corsa.

Come potete immaginare l’adolescente Henk non è più sceso di macchina, è rimasto sempre al posto di guida e, semmai, ha voluto ripercorrere le tappe della carriera del padre cercando di condensarne tempi e risultati. Dai Rally al campionato sudafricano, da habitué, per passare poi al Cross-Country, ultima passione del padre, il passo è abbastanza breve, e coincide con una tappa storica della sua vita, più che della carriera. Parliamo di quel 2015 quando, al Rally di Monte-Carlo, il giovane Lategan si trovò a incrociare le armi, a debita distanza, naturalmente, con l’idolo della sua infanzia, Sébastien Loeb, quell’anno all’unica uscita nel Mondiale (e comunque ottavo assoluto).

Crescere in una famiglia di Rally vuol dire, in un “certo senso”, iniziare da ufficiali, perché non c’è altro modo per mettere mano al talento che farlo…. mettendo mano al portafogli. Finché non arriva la conferma del talento, non c’è altra redbull che il sacrificio della famiglia.

Come si è detto, tuttavia, il talento del giovane Henk non ha tardato a rivelarsi, ed è esploso nelle ultime due stagioni, quando ormai “prescelto” dal Team Toyota SA, Lategan si è permesso prima di “aspirare” l’esperienza di Giniel “Sorriso” De Villiers, poi di batterlo e infine, vincendo per due volte consecutive il massimo alloro sudafricano del Cross-Country, di diventarne l’erede irriverente nella scena principale della specialità, la Dakar.

Ecco come è andata. Per inciso, tra le sue attenzioni che rivelano un piano ambizioso, Lategan ha scelto come navigatore un endurista (la passione per la moto è sempre un punto chiave di partenza) di provata esperienza dakariana, Brett Cummings.

Morale. Siamo tutti qui a vedere cosa succede. L’umile Howes ha fatto un quarto di tappa ed è stato in testa al Rally per un giorno. Naviga ora in quinta posizione e sembra irrimediabilmente destinato a crescere insieme alla sua consapevolezza.

Se la carriera viene prima di tutto tra i suoi obiettivi, state tranquilli, il suo contratto importante è già sulla parola e si perfeziona sui fax o sulle mail. Consideratelo pure un portatore d’acqua a corte, è già successo altre volte, seppure più episodicamente.

L’irrispettoso Lategan, al contrario, è già arrivato. È un Pilota ufficiale. Un secondo, un terzo, il quarto posto nella generale, gli basta concludere il Rally, magari alle spalle e non troppo distante dal Principe del Qatar e da quei satanassi con le Mini, giocarsela con il suo vecchio idolo Loeb, arrivare in fondo e il gioco è fatto. Non si sarà mai guadagnato tanto presto i premi del suo contratto, di fatto immediatamente da prolungare.

 

Questi due sono due bombe a orologeria della Dakar. Possono esplodere e umiliare tutti. Parola di barista!

© Immagini: “Nani” Roma Media, BRX, Red Bull Content Pool, X-raid, Toyota Gazoo Racing, ASO, KTM, Honda, Rally Zone, Francesca Gasperi

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