C’è una crisi nella crisi alla base del problema di approvvigionamento di componenti e materie prime che sta mettendo in ginocchio il mondo dell’auto e rallentando la produzione in modo anche più grave di quanto ha fatto nel 2020 la pandemia. E sta tutto nel rapporto sempre più difficile tra i costruttori e i fornitori di componenti elettronici. 

Perché malgrado l’industria automotive abbia un peso importante a livello di economia e PIL, la verità è che non tutto gira intorno all’auto, o almeno non tutto allo stesso modo, e sicuramente non il settore dell’elettronica, che fa sempre più fatica ad adeguarsi alle logiche e ai processi produttivi del mondo delle quattro ruote.

L’auto non è il miglior cliente

A mettere in luce il rapporto traballante tra automotive e produttori di chip alla base della situazione critica emersa nelle ultime settimane, è Ondrej Burkacky, analista ella società di consulenza McKinsey, che in una recente dichiarazione rilasciata al magazine online Deutsch Welle (qui l’articolo) ha fatto luce su quella che potrebbe diventare una rottura non facile da sanare:

“L’industria automobilistica vale meno del 10% del volume complessivo di semiconduttori e non è abituata a garantire i volumi di produzione in anticipo, quindi attualmente è più esposta ad una  carenza nell’approvvigionamento rispetto ai settori che garantiscono maggiori volumi di produzione con ordini a lungo termine”.

Insomma, l’auto non hanno un ruolo prioritario che le permetta di fare la voce grossa nel momento in cui i fornitori devono scegliere a chi dare la precedenza. E il motivo è anche procedurale.

“Le grandi case automobilistiche – continua Burkacky – e i loro fornitori sono abituati da tempo a dipendere da processi just-in-time, ma in altri settori della catena di approvvigionamento il “peso” dell’automotive è preponderante e le consente di essere molto influente nel determinare la priorità quando si verificano i cosiddetti “colli di bottiglia” produttivi”.

“Questo non è il caso dei produttori di semiconduttori, dove i costruttori di auto sono superati sia per dimensioni che per domanda di chip dai giganti della tecnologia come Apple e Samsung, che trovano più facile garantirsi la priorità”.

Investire in tecnologia “vecchia”

A questo bisogna aggiungere anche l’elemento tecnologico su cui, contrariamente a quanto si pensa, l’auto non è sempre prima attrice: il grosso dei volumi richiesti dall’industria automotive riguarda infatti componenti non di ultima generazione, su cui è meno conveniente concentrare nuovi investimenti. Dunque, occorrerebbe un aumento di capacità produttiva che in caso di stop prolungati come quello verificatosi nel 2020 faticherebbe a trovare sbocchi in altri settori, come quello dell’elettronica di consumo, che camminano molto più velocemente.

Verso un semestre difficile

Gli effetti li stiamo già vedendo oggi, con diversi costruttori che hanno già dichiarato la riduzione della produzione. Tra questi Volkswagen, che parla di 100.000 unità in meno soltanto nel primo trimestre, e i colossi americani Ford (la cui stima delle potenziali perdite del 2021 è di oltre 2 miliardi di euro) e GM, i quali hanno annunciato tagli ai turni di lavoro e addirittura chiusure temporanee di alcuni stabilimenti.

Il momento peggiore tuttavia si prevede arriverà con il secondo trimestre, come ha dichiarato il Ceo di Renault Luca De Meo commentando il pesante passivo registrato a fine 2020 dal Gruppo conseguente alla pandemia ma seguito, appunto, dalle difficoltà che il comparto vive ora. 

 

 

 

 

 

 

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