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Gli Stati Uniti vogliono dire basta alla crisi dei chip e riconquistare la leadership nel settore persa in favore dell’Asia negli ultimi 30 anni. Basti pensare che nel 1990 gli Usa rappresentavano il 40% della produzione mondiale, mentre nel 2019 la quota si è ridotta all’11%, con Taiwan, Corea del Sud e Cina sempre più padroni del mercato.

Protagonista della missione è il dipartimento del Commercio (DOC), che sta chiamando a raccolta tutte le imprese legate direttamente e indirettamente all’industria dei semiconduttori con la richiesta di fornire informazioni sulla crisi e i progetti in atto per capire le contromosse da prendere. 

I quattro punti

C’è tempo fino al 25 marzo per rispondere alla Request for Information (RFI) e aiutare Washington a pianificare potenziali programmi di incentivi alla costruzione di fabbriche, forniture di infrastrutture condivise e accelerare così ricerca e sviluppo. Più nel dettaglio, il piano del DOC si concentra su:

  • un programma di finanziamenti a enti privati, consorzi di enti privati o consorzi pubblico-privati, scelti attraverso una procedura selettiva, per incentivare la costruzione, l’espansione o l’ammodernamento di impianti di produzione e infrastrutture di supporto;
  • un National Semiconductor Technology Center che fungerà da hub di talenti, conoscenze, investimenti, attrezzature e strumenti;
  • un programma avanzato di assemblaggio;
  • le attuali e future esigenze di sviluppo dell’industria dei semiconduttori.

“Riportare l’America in testa”

“Gli Stati Uniti affronteranno sia l’immediata carenza di forniture, che sta facendo salire i prezzi, sia una minaccia a lungo termine per la sicurezza economica e nazionale americana se non aumenterà l’offerta interna di chip”, spiega Gina M. Raimondo, segretario Usa al Commercio.

“Dato che la domanda di semiconduttori potrà solo aumentare, abbiamo bisogno di investimenti intelligenti e strategici per sostenere la nostra catena di approvvigionamento. E ne abbiamo bisogno ora, non solo per affrontare l’attuale carenza e i problemi della catena di approvvigionamento, ma per posizionare l’America in testa a livello globale”.

Contemporaneamente, il dipartimento lancia un appello al Congresso perché approvi “la proposta di finanziamento del presidente da 52 miliardi di dollari per la produzione nazionale di semiconduttori”. Una cifra monstre. Dal canto suo, intanto, il Congresso ha già autorizzato una serie di programmi sui chip.

E l’Europa cosa fa?

Se gli States non restano fermi, anche l’Europa si muove per dire la sua. La prima iniziativa del Vecchio Continente è firmata Bruxelles e prevede uno European Chips Act. Pochi i dettagli rivelati in occasione della sua presentazione, ma l’idea è quella di “mettere insieme le capacità di ricerca, progettazione e sperimentazione”, invitando gli Stati membri a “coordinare gli investimenti nazionale e dell’Ue lungo l’intera catena del valore”.

L’obiettivo finale è creare “un ecosistema europeo dei semiconduttori che sia all’avanguardia, inclusa la produzione”, perché solo così “garantiremo la sicurezza dell’approvvigionamento e svilupperemo nuovi mercati per una tecnologia europea innovativa”.

L’altra carta in mano all’Ue è una possibile partnership con la Taiwan Semiconductor Manufacturing (TSMC), tra le più importanti multinazionali di chip al mondo, per costruire uno stabilimento produttivo nel Vecchio Continente, che si aggiungerebbe a quello di Bosch in Germania, aperto con un investimento da 1 miliardo di euro. Così l’Occidente manda un messaggio in Oriente.

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