Walter de Silva: “La S9? È come un aliante”

Lecchese, classe 1951, vincitore nel 2011 di un Compasso d’oro alla carriera (il prestigioso premio dell’ADI, l’Associazione per il Disegno Industriale), Walter de Silva (nella foto qui sopra) è uno dei grandi del car design e ha influenzato profondamente l’evoluzione dell’automobile degli ultimi decenni. Nasce da una sua idea, per esempio, la mascherina “single frame” dell’Audi, vero segno distintivo dei modelli di Ingolstadt dal 2006. Ma anche una vettura universalmente apprezzata per la sua bellezza come la 156 (Car of the Year 1998) porta la firma di de Silva, all’epoca responsabile del centro stile Alfa Romeo. Nel 1999, si trasferisce a Barcellona per dirigere il design Seat, un’esperienza che oltre a ridefinire l’identità del marchio spagnolo, dà inizio all’ascesa del designer nel Gruppo Volkswagen. Culminata, dopo i passaggi in Audi e Lamborghini, con la direzione dello stile di tutti i marchi del colosso tedesco. Durata fino al 2015, l’era di de Silva alla Volkswagen ci ha lasciato vetture come l’Audi A5 Coupé, premiata col Design Award nel 2010, e sostanzialmente tutti i modelli di quel periodo, dalla Polo alle Golf VI e VII, dalla Scirocco alla Touareg, dalla up! alla Passat.

Lasciato il gruppo Volkswagen (ma non la Germania: vive a Monaco di Baviera), Walter de Silva si è lanciato nell’industrial design con il suo studio, che ha progettato scarpe e lampade da tavolo, poltrone e macchine fotografiche. Ma, poiché il primo amore non si scorda mai, eccolo impegnato nell’operazione Hongqi S9. Una hypercar da 400 all’ora figlia della joint venture tra gli americani della Silk EV e i cinesi del gruppo Faw, prima casa automobilistica del Paese asiatico. Le Hongqi, pressoché sconosciute da noi, sono state a lungo riservate agli alti funzionari del partito e della repubblica popolare (la parola cinese Hongqi significa “bandiera rossa”); ma i tempi cambiano e oggi il brand della Faw Car Company produce auto di lusso, tra le quali anche una suv con motore elettrico. La S9, però, è qualcosa di diverso. Non solo per le prestazioni e per il prezzo. Se il capitale è cinese e americano, la vettura sarà made in Italy: verrà cioè prodotta nella nuova fabbrica che sorgerà nelle vicinanze dell’avveniristica stazione ad alta velocità di Reggio Emilia, quella firmata dall’architetto Calatrava. Tutta italiana anche la squadra chiamata a dirigere le operazioni: dalla managing director Katia Bassi, in precedenza a capo del marketing della Lamborghini, al direttore tecnico Roberto Fedeli (ex FCA, è il “papà” della Stelvio), ai superconsulenti Amedeo Felisa, che è stato ad della Ferrari, e – per l’appunto – Walter de Silva per il design. A de Silva abbiamo chiesto di “raccontarci” la S9. 

> Nelle foto qui sopra Katia Bassi e Roberto Fedeli.

Quali sono le sfide più grandi che un designer si trova ad affrontare nello sviluppo di un’auto come la S9?
L’automobile è un organismo complesso, è un prodotto di design ma anche un oggetto in movimento che deve al tempo stesso garantire un elevato contenuto tecnologico, una buona ergonomia per gli occupanti e la migliore efficienza aerodinamica possibile. In tutto questo, il mio lavoro è quello di ricercare la bellezza, sempre. Quando i vincoli tecnici sono molto elevati, come quando abbiamo a che fare con vetture prestazionali – e non mi riferisco soltanto alla velocità, ma anche, per esempio, alle prestazioni richieste a una mini vettura da città – bisogna andare molto a fondo. E collaborare con gli ingegneri perché si possa raggiungere quell’equilibrio tecnico, tecnologico ed estetico che porta alla soddisfazione del cliente e quindi al successo del prodotto. Nel caso della Hongqi S9 i condizionamenti tecnici erano tanti, basti pensare al ruolo dell’aerodinamica alle altissime velocità e all’handling tra le curve. In poche parole, posso dire che l’abbiamo disegnata in galleria del vento.

Avete collaborato con la Dallara per lo sviluppo aerodinamico della vettura?
Sì. In particolare con l’ingegner Dialma Zinelli, uno dei massimi esperti nel settore, sfruttando il simulatore Dallara e le formidabili possibilità offerte da questo strumento. Con Zinelli abbiamo lavorato tanto insieme in passato e siamo allenati a combinare stile, aerodinamica e tecnica, ovvero lo studio degli ingombri dei componenti. L’impatto dell’aria sul frontale dipende infatti da come i flussi entrano nel corpo vettura e ne escono, quindi da come gli ingegneri dispongono le sospensioni, i radiatori, i motori e tutte le componenti interne. I principi dell’aerodinamica non cambiano, ma in ogni progetto le componenti sono diverse e si scopre sempre qualcosa di nuovo. In un’auto come questa, che ha tre motori elettrici oltre al V8 a benzina, per un totale di 1.400 cavalli, e un’aerodinamica molto sofisticata, la complessità è esasperata.

Si tratta di una sfida creativa importante…
La Walter de Silva & Partners, di cui sono fondatore e che ha come cliente costruttori automobilistici come Silk EV e Faw, ha trovato una sua cultura proprio nell’aero-design. Perché se passando da un motore termico ibrido a uno elettrico i parametri in gioco cambiano, il nostro approccio rimane lo stesso ed è costruito su una base scientifica. Studiamo a fondo l’oggetto e la bellezza prende corpo, perché il design esprime qualcosa di valido e con precise giustificazioni funzionali, non di pura decorazione.

La Hongqi S9 dà l’idea di essere una hypercar non urlata, molto equilibrata e “italiana” in certi dettagli. A che cosa si è ispirato?
Ho esaminato attentamente le protagoniste delle gare endurance degli Anni ’60 e ’70, auto molto veloci e prestazionali ma al tempo stesso molto pulite nelle forme. Ritengo che proiettare degli oggetti futuribili nel “classico” sia un modo efficace per parlare un linguaggio estetico diverso dal solito “famolo strano” tanto diffuso nel car design odierno. In particolare, mi piace avvicinare la S9 al concetto di aliante, perché la sua bellezza deriva dalla sua funzionalità, dal contenimento del peso e dalla capacità di compiere acrobazie. L’aliante non può essere fatto che in quella maniera lì, altrimenti non funziona e cade; analogamente, la S9 non può che avere quella forma, per garantire prestazioni tanto elevate. E il designer deve tenere conto di tutte queste considerazioni e da lì estrarre quel concentrato di bellezza che è proprio di quegli oggetti nei quali si riesce a riportare una sintesi assoluta. A tutto questo, naturalmente, si aggiunge un po’ d’esperienza e di gusto italiano.

La fiancata riceve slancio dalla linea che parte dalla sommità del passaruota anteriore. Naturalmente, è una citazione…
È un motivo stilistico che ho applicato per la prima volta nella concept Seat Salsa e nell’Audi A6 del 2004. Trovo che, quando possibile, la linea che collega la ruota anteriore a quella posteriore regali dinamicità all’auto, che sembra in movimento anche quando è ferma. Si tratta di una soluzione ripresa da molti, e ne sono fiero; nella S9 – dove viene spezzata dal taglio della porta ad apertura verticale, era voluta fin dal primo schizzo.

Poi c’è il tema della presa d’aria intorno alla quale sono alloggiati i fari…
Avevamo due necessità: pulire la zona del gruppo ottico senza dover ricorrere a un lavafaro e ridurre le turbolenze d’aria nella zona dei freni. Abbiamo provato a utilizzare la storica presa Naca: ha funzionato e abbiamo deciso di sottolinearne il profilo con i fari a led. Anche dietro, i fanali svolgono un ruolo prezioso nell’evacuare l’aria creando, tra l’altro, una buona continuità stilistica con il frontale.

Molto particolare anche l’elemento luminoso che divide in due il frontale, continuando poi all’interno. Che funzione ha? 
La luce rossa è una sorta di richiamo al marchio Hongqi, parola cinese che, lo ricordiamo, significa bandiera rossa. Naturalmente, è anche un colore che esprime forza, molto indicato a un’auto ad altissime prestazioni. Prosegue nell’abitacolo lungo la consolle centrale, creando continuità con l’esterno; a bordo, però, la luce e il colore giocano un ruolo fondamentale nel “connettere” il guidatore all’auto. La luce serve poi a creare un cosiddetto effetto “welcome home”. Ce ne serviamo anche per comunicare visivamente se dalle bocchette di ventilazione esce aria calda o fredda, colorandole, rispettivamente, di luce rossa o blu.

Come mai lo schermo nel volante?
Lo schermo al centro del volante è stata una scommessa. Fin dall’inizio ho sostenuto – d’accordo con i tecnici – che più attenzione viene richiesta al guidatore, più è necessario diminuire le informazioni che gli vengono fornite. La differenza tra viaggiare a 200, 250 o 300 km/h è abissale; dai 300 in su si entra in un’altra dimensione. Da questa riflessione ho voluto che l’auto desse direttamente nel volante tutte le informazioni a cui siamo abituati, ma fino ai 130 km/h. In questo modo possiamo gestire velocemente il telefono piuttosto che la musica e la navigazione. Sopra questa soglia, e a completa discrezione del costruttore, nel senso che non potrà essere il cliente a decidere in merito, tutte le informazioni non essenziali spariscono. Per ragioni di sicurezza: a certe velocità la distrazione può essere fatale. Tornando allo schermo integrato nel volante, ne stiamo finalizzando lo sviluppo: se l’auto è dotata di cinture a tre punti lo schermo non può essere montato perché bisogna fare spazio all’airbag; invece, utilizzando le cinture a quattro punti di ancoraggio il problema non si pone. Probabilmente avremo diverse opzioni a seconda delle specifiche richieste dal cliente.

Quest’auto sarà affiancata da una famiglia di vetture sportive…
Sì, arriverà una famiglia di vetture, tutte elettriche e tutte molto sportive. Avremo una coupé e una spider, una berlina ad alte prestazioni e delle suv, o meglio, delle cuv (coupé utility vehicle). Sto consigliando alla dirigenza di conferire al marchio una connotazione davvero sportiva, in modo da differenziarlo dalle tante altre proposte sul mercato. Il grande lavoro che ci aspetta è quello di creare un’identità di prodotto e di brand forti per potersi scontrare con concorrenti che hanno una lunga storia alle spalle. Non bisogna averne paura, ma lavorare con umiltà e rispetto, portando tanta innovazione.

Ci sarà una sportiva un po’ più accessibile?
I modelli si andranno a posizionare nella fascia di mercato delle vetture lussuose e sportive e avranno prezzi competitivi, non faremo solo hypercar. In Italia saranno prodotte due vetture, la S9 e la S7. Dalla Cina importeremo le suv, che, ripeto, saranno sportivissime.

È un progetto a 360 gradi che valorizza anche il territorio…
Sono stati chiamati diversi esperti per scegliere l’area destinata alla produzione e allo sviluppo delle nostre vetture tra Parma e Bologna. Tra l’altro crediamo molto nella formazione. L’operazione Silk Faw, infatti, rappresenta una grande opportunità per le università e per tutti i ragazzi desiderosi di lavorare nel mondo dell’automobile. La nostra sarà un’azienda italiana, che speriamo possa riportare in Italia tanti professionisti attualmente all’estero. Io mi sto personalmente occupando di creare un nuovo centro stile, che sicuramente sarà affidato a una persona di valore.

Quali sono state le reazioni dei concorrenti?
La più bella è stata quella di Horacio Pagani che mi ha detto: “Walter, ma che cosa fai?”. E io: “Niente!”. Lui mi ha risposto: “Sono contento!” “E come mai sei contento, veniamo a farti concorrenza…” La risposta di Horacio, che è persona di grande spirito, è stata: “Sono contento perché mentre fanno il giro da Ferrari, Lamborghini e da voi, passano anche da me e mi comprano un’automobile!”. Le altre reazioni non le conosco, ma la storia dell’automobile m’insegna che dove c’è competizione c’è crescita per tutti. Ricordo bene quando arrivai all’Audi e il presidente mi disse: “Tu, tutte le mattine devi pensare alla BMW e a come farla fuori!”. In senso buono, ovviamente. Penso che alla BMW dicessero la stessa cosa.

Come vede la mobilità di domani?
Prima dello IAA di Monaco molto male. Ma al Salone ho visto qualche oggetto progettato in modo un po’ più consapevole, specialmente vetture di grande diffusione e quelle di mobilità tradizionale. Forse il design “urlato” si sta finalmente fermando in favore di quello più consapevole e razionale, ma che non tradisca una buona estetica. La spinta verso l’elettrico è forte, ma anche in questo caso ci vuole attenzione: bisogna valutare attentamente il bilancio energetico per ogni tipologia di veicolo e alimentazione, perché se i conti non tornano non ci può essere vera attenzione all’ecologia e alla sostenibilità. Insomma, meno slogan e più consapevolezza. Guardo con interesse tutte le vetture da città, microcar comprese, perché richiedono poca energia e quindi batterie non esagerate. Al contrario, una suv che dev’essere mossa da un pesantissimo pacco batterie mi fa ridere. Riguardo al design, auspico che l’elettrico porti a una forte miniaturizzazione degli elementi meccanici per giocare su forme e abitabilità di bordo con tanta libertà in più. 

E della micromobilità che cosa pensa?
Guardi, io il monopattino elettrico lo toglierei dalla circolazione già domani mattina. La bicicletta, invece, grazie alla sua storia di 150 anni e alla forte maturazione conosciuta, con l’elettrificazione ha compiuto passi da gigante. E senza perdere niente in sicurezza, anzi. Il monopattino, invece, è un oggetto insicuro e pericoloso. Non è questione di indossare il casco o di introdurre dei limiti d’età per poterlo guidare: andrebbe proprio eliminato. 

Con la collaborazione redazionale di Cesare Nebbia

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