Non è la prima volta che studi scientifici mettono in luce le criticità di idrogeno verde e idrogeno blu (il primo prodotto quasi a zero emissioni da fonti rinnovabili, il secondo derivato da combustibili fossili con metodi ecosostenibili). C’è però anche chi crede che entrambi rappresentino una valida soluzione per la mobilità green.

In attesa di capire se, quanto e come prenderà piede questo tipo di carburante oggi arriva uno studio pubblicato dalle Università di Cornell e Stanford che solleva alcuni dubbi sulla sua reale efficacia in fatto di riduzione delle emissioni. Notizia non da poco, vista la nomea di energia pulita che l’idrogeno si era creato, ma soprattutto visti gli investimenti miliardari realizzati dagli Stati e dalle grandi aziende per finanziare la ricerca e lo sviluppo.

Niente mezzi termini

Robert Howarth, che ha coordinato la ricerca, è un biochimico e scienziato della terra dell’Università di Cornell, con sede a Ithaca (nello stato di New York). Al New York Times ha dichiarato senza troppi giri di parole che “Chiamare l’idrogeno un carburante a zero emissioni è nettamente sbagliato. Anzi, abbiamo capito che non è neanche un carburante a basse emissioni”.

Il risultato del nuovo studio è inequivocabilmente chiaro: prima di tutto, la maggior parte dell’idrogeno usato oggi non è né blu né tantomeno green, visto che viene prodotto dal gas naturale grazie a un processo che non solo richiede molta energia, ma che produce anche quantità importanti di diossido di carbonio. A dire il vero, è già la stessa produzione di gas naturale a rilasciare quantità non indifferenti di metano, uno dei responsabili più importanti dell’effetto serra.

Un problema di distribuzione

Per ridurre l’impatto ambientale di questi processi l’industria del gas naturale ha proposto di raccogliere e intrappolare il diossido di carbonio altrimenti rilasciato nell’aria. Questa proposta, se realizzata, spianerebbe la strada alla produzione del cosiddetto idrogeno blu, che apparentemente avrebbe zero emissioni. Si è calcolato, però, che tale riduzione delle emissioni in sede produttiva verrebbe poi recuperata nel corso del processo di approvvigionamento e distribuzione. Questo, sempre secondo lo studio, inquinerebbe anche di più della combustione del gas naturale usata tradizionalmente.

Durante l’analisi dell’intero ciclo produttivo dell’idrogeno blu portata avanti dai ricercatori, questi ultimi hanno rilevato importanti quantità di emissioni di metano provenienti sia dai pozzi estrattivi sia dalle tecnologie usate per l’estrazione. I carotaggi, infatti, produrrebbero delle fughe che rilascerebbero nell’atmosfera il 3,5% del metano estratto. Cadrebbe così anche il mito della riduzione delle emissioni in sede estrattiva. A produzione ultimata, stando ai calcoli svolti da Howarth e dal team da lui diretto, l’idrogeno blu avrebbe addirittura un impatto del 20% più elevata rispetto a quello prodotto coi metodi tradizionali.

Camion idrogeno Toyota

Va bene per camion, aerei e treni

Il dettagliato studio ha un effetto importante: l’interruzione della narrazione per cui l’idrogeno – e l’idrogeno blu in particolare – sarebbe un carburante affidabile, ecologico e votato agli impieghi più disparati, dal riscaldamento domestico all’utilizzo automobilistico. Nel tempo, inoltre, Usa e Ue avevano cominciato a servirsi della declamata bontà dell’idrogeno per giustificare la costruzione di infrastrutture come i gasdotti.

Sia chiaro, l’idrogeno non è completamente da accantonare. Rimarrebbe infatti un carburante plausibile per alcune categorie: come aerei, treni o camion votati alle lunghe percorrenze. Queste categorie troverebbero nell’idrogeno ciò che l’elettrico non può (ancora) offrire, in primis una maggiore autonomia. Ciononostante, estendere l’idrogeno a qualsiasi tipo di mezzo di trasporto si rivelerebbe un grave errore ambientale ed economico, perché esso inquina e costa molto.

Treni a idrogeno per la Hydrogen Valley italiana

Un settore in espansione

L’Hydrogene Council, gruppo industriale fondato quattro anni fa e che include aziende del calibro di BP e Shell, non ha ancora rilasciato dichiarazioni in merito al nuovo studio. Il silenzio del gruppo potrebbe essere spiegato in relazione a un report effettuato non molto tempo fa dalla società di consulenza McKinsey assieme ad alcuni gruppi industriali.

Quella ricerca ha infatti stimato che l’economia dell’idrogeno potrebbe generare un profitto annuo di 140 miliardi di dollari entro il 2030 e che entro il 2050 potrebbe arrivare a soddisfare il 14% del bisogno energetico degli interi Stati Uniti. Smettere di investirci sarebbe un’immensa occasione economica persa.

Per ora si va avanti

Ciò detto, per ora il mercato dell’idrogeno gode ancora di buona salute, favorito anche dalle sovvenzioni statali, come quella di 8 miliardi di dollari finalizzata alla creazione di centri di produzione del prezioso gas e accordata dal governo Usa. 

Il consenso su misure di questo tipo non è però unanime. Alcune proteste erano arrivate dallo stesso mondo della politica statunitense, oltre che dagli ambientalisti. Jim Walsh, analista sulle politiche energetiche pubbliche dell’associazione non-profit Food&Water Watch, ha dichiarato per esempio che “Produrre idrogeno non è una scelta per il clima. A livello politico si sta facendo finta che lo sia, invece non fa altro che rafforzare l’industria dei combustibili fossili”.

Opel Vivaro-E Idrogeno

E l’idrogeno green?

Discorso diverso – ma fino a un certo punto – riguarda l’idrogeno green, che viene prodotto sfruttando l’energia proveniente dalle fonti rinnovabili. Questa, infatti, è usata per separare l’acqua nei suoi due elementi costituenti, idrogeno e ossigeno, e per immagazzinare il primo. L’idrogeno green, secondo i suoi sostenitori, avrebbe il vantaggio di non rilasciare metano nell’atmosfera.

Eppure, neanche questo processo sarebbe a zero emissioni. L’elettrolizzazione dell’acqua, infatti, richiede comunque un considerevole dispendio di energia, il quale renderebbe il carburante ancora inadatto alla mobilità di massa. In ogni caso, le ricerche vanno avanti. Non è detto che si riescano a ottenere progressi e che il settore non diventi più competitivo. Se da un lato è chiaro a tutti che non possa essere considerato l’alternativa dominante per la mobilità di massa, dall’altro potrebbe diventare più efficiente e meno impattante, a tutto vantaggio di un sistema industriale e dei trasporti variegato ed equilibrato.

Intanto, le stesse Case automobilistiche si dividono sul tema. Da un lato ci sono i grandi detrattori dell’idrogeno, Volkswagen in primis, dall’altro i sostenitori convinti, come Toyota, che sta testando l’idrogeno anche come combustibile da usare in un motore termico. In mezzo ci sono Hyundai, con la Nexo, e Bmw, che dopo la Hydrogen 7 torna all’attacco con un modello nuovo di zecca che sarà mostrato al Salone di Monaco.

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