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Come ribadito più volte, la sostenibilità è un concetto ampio che abbraccia ogni aspetto della produzione industriale, così come, nel caso specifico dell’auto, ogni componente e processo produttivo.

Persino la massiccia virata verso l’elettrico e le energie alternative, che è una rivoluzione epocale, può non bastare a raggiungere il risultato, e ci sono altre parti dell’auto dove il passaggio a soluzioni eco-friendly potrebbe essere più difficile. Come la pelle

L’industria del cuoio, che è legata a doppio filo con quella della carne visto che i pellami provengono principalmente da animali di allevamento, soprattutto bovini, ed è un’attività che comporta un grande consumo di risorse, energetiche, alimentati, idriche e di suolo. Ma nonostante i molti sforzi, fare a meno della pelle si prospetta complicato, specie a certi livelli.

Bene i tessuti riciclati, ma il lusso?

Gli sforzi delle case auto verso l’uso di materiali ecologici negli ultimi anni si sono moltiplicati e proprio nel settore tessile come in molti altri la parola d’ordine sta diventando “riciclaggio”. Hyundai, Seat, e di recente anche Skoda per la Enyaq iV, hanno annunciato nuovi tessuti sintetici ricavati da plastiche di scarto, come reti da pesca recuperate negli oceani e bottiglie di plastica, utilizzati soprattutto sulle nuove vetture elettriche, quelle che si prestano meglio a portare avanti ogni tipo di messaggio ecologista.

Andando verso l’alto di gamma, le cose si fanno più complesse. Anche qui la pelle ecologica si va diffondendo, con Volvo che annuncia entro a fine del decennio un nuovo tipo di rivestimento chiamato Nordico, ricavato da plastica e sughero riciclati uniti ad altre materie vegetali di recupero, che sostituirà completamente i pellami animali, mentre per altri rivestimenti utilizza lana proveniente da una filiera virtuosa che certifica anche il corretto trattamento e il benessere degli animali.

Volvo, però, è un caso particolare, un marchio indubbiamente premium la cui immagine si è sempre caratterizzata per una certa attenzione all’ambiente e a quel particolare aspetto della cultura scandinava che concilia bene il ricorso a soluzioni naturali e green con lo status di costruttore di rango. Idem per Tesla, che ha già reso “vegani” i suoi modelli da qualche anno, ma sempre con una clientela meglio disposta rispetto a quella dei costruttori più tradizionali, a rinunciare agli status classici.

Quando però si sale ancora di livello, ecco che rinunciare al pregiato cuoio diventa più difficile e malgrado alcuni marchi top come Bentley abbiano già introdotto pelli a base  vegetale come alternativa a quelle naturali, suggerendo ai clienti di prenderla in considerazione, per il momento nessuno azzarda a imporre il cambiamento.

Volvo, i materiali leather free

Si inizia a combattere lo spreco

Le notizie che giungono dal settore del vero lusso per quanto riguarda la pelle sono meno perentorie di quelle concernenti, ad esempio, il passaggio all’elettrico. Le Case infatti qui si limitano per ora a sostenere iniziative a favore della riduzione degli sprechi o dei processi produttivi di qualità certificata a basse emissioni come ha fatto ancora Bentley aderendo, primo tra i costruttori automobilistici (recentemente seguito da BMW), al Leather Working Group, più che mettere in discussione la materia prima.

Rolls-Royce, gli interni in pelle

Stesso discorso per Rolls-Royce, il cui ceo Torsten Müller-Ötvös ha recentemente dichiarato che la Casa si sta preparando a offrire rivestimenti in pelle “vegana” nel caso in cui qualche cliente dovesse fargliene esplicita richiesta, anche se finora nessuno lo ha mai fatto.

Il lusso nostrano non fa eccezione: anche Lamborghini per il momento si limita a combattere gli sprechi e a tal proposito ha avviato a fine 2021 una collaborazione con il “laboratorio di moda etica” La Cartiera per produrre articoli di pelletteria confezionati utilizzando avanzi e scarti del suo reparto sellerie, che comunque continuerà a rivestire gli interni delle supercar emiliane con pelle rigorosamente originale. Perché a questi livelli l’ultima parola spetta sempre e comunque ai clienti.

Lamborghini, pelletteria da scarti di selleria (2)

La svolta potrebbe venire dal cibo sintetico

Se come abbiamo accennato in apertura l’industria della pelle vive letteralmente in simbiosi come quella della carne, l’unico plausibile cambio di rotta potrebbe venire da quest’ultima, e da una sempre meno fantascientifica evoluzione verso il cibo sintetico, che andrebbe a ridimensionare l’allevamento intensivo e con questo, la disponibilità di pelle naturale. Troppo semplice? No.

La crescita della popolazione mondiale sta già mettendo in crisi la produzione di cibo e soprattutto, fa emergere da tempo la scarsa “efficienza” di alcune industrie tra cui appunto, quella della carne, che richiede un gran dispendio di risorse le quali promettono di arrivare presto a saturazione.

Considerando infatti che un bovino da carne nel su ciclo vita consuma circa 30.000 litri d’acqua e oltre 8 tonnellate di fieno e granaglie coltivati appositamente con ulteriore consumo di acqua e suolo, è stato calcolato che produrre un kg di carne servano in media 40 kg di vegetali e circa 15.000 litri d’acqua, mentre per un kg di pelle grezza ne occorrono addirittura un 10-15% in più.

Se a questo aggiungiamo che aumentare la produzione richiederebbe anche un incremento dell’agricoltura intensiva, un fenomeno che oggi al contrario si sta cercando di ridimensionare favorendo la riforestazione utile tra l’altro a compensare la co2 generata dall’industria, appare evidente che produrre carne sarà sempre meno un affare.  

Un’emergenza che spinge nella direzione delle soluzioni alternative come il consumo di insetti (già sdoganato in molti paesi) e della carne sintetica, che vanta già interessanti startup e soprattutto, ingenti investimenti, e potrebbe avere come effetto collaterale la contrazione del mercato della pelle naturale.

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