Jeddah, Arabia Saudita, 15 Gennaio. Quad in calo, ha vinto l’argentino Andujal, e Camion “stabili”, soprattutto sotto il dominio Kamaz che ha imposto tre Elefanti del Deserto ai primi tre posti, primo quello di Sotnikov. Davvero emozionante la Gara degli SSV, che sta per Side by Side Vehicles, vinta da Francisco Lopez e Juan Pablo Latrach. Il mezzo vincitore è un Can-Am XRS di South Racing, ultima generazione dell’ultima… generazione di veicoli sviluppati per e in seno alla Dakar. Finita la breve era pionieristica, le “Macchinine” sono considerate le 4 ruote del futuro dei Rally-Raid.

Il cileno Francisco Lopez è meglio conosciuto per il suo Nick Name, “Chaleco”, il gilet dei mandriani, ed è una vecchia conoscenza. Ha infatti corso con Team e Moto italiane, ed è andato più volte vicino al successo, una volta davvero vicinissimo con l’Aprilia. Sette edizioni di Dakar in Moto, un terzo e un quarto, alcune tappe vinte, Lopez era uno di quelli “buoni”. Finita l’Avventura delle Moto, Chaleco ha provato a stare lontano dalla Dakar e ha iniziato a correre con le 4 ruote nei Rally sudamericani. Poi, scoperti questi piccoli e divertenti mezzi che sono gli SSV, piccoli ma impegnativi e sempre più competitivi, è tornato. Chaleco è tornato nel 2019 con un SSV… e ha vinto. Una gara vibrante e rocambolesca.

La storia si è ripetuta, comprensiva degli argomenti forti, una rottura che è costata due posizioni e oltre mezz’ora di ritardo, e Lopez ha vinto ancora con Juan Latrach, imponendosi su Austin Jones e Aron Domzala. Bel colpo.

Combinazione, nel 2010 Chaleco correva con l’Aprilia, e sull’altra Moto italiana c’era Paolo Ceci. Ecco, i due ex-colleghi ed ex compagni di squadra si sino ritrovati alla Dakar di quest’anno. Ceci, infatti, è il navigatore di Khalifa Al Attiyah. Equipaggio nuovo, debuttante di settore e avventura tutta da scoprire. Con gli SSV bisogna capire prima di tutto che non si è alla guida di un carrarmato, per cui ci vogliono molta attenzione e moltissima fortuna. Per non parlare della pazienza… Ma non basta, e così per molti, per non dire quasi tutti, un po’ di bricolage, cinghia, triangoli, freni, ammortizzatori, è pane quotidiano.

Ceci e Al Attiyah hanno portato a termine una gara palpitante. Hanno vissuto, come molti altri, alti esaltanti e bassi frustranti, ma l’importante è che ce l’hanno fatta. Talvolta molto bene.

Più volte nella… polvere, ma almeno in tre occasioni all’altezza della testa della classifica, il giovane al Attiyah, che è il fratello minore di Nasser, e Ceci, sono la pagina bianca di un programma tutto da scrivere nel prossimo futuro. Khalifa guida benissimo, e in quanto a perizia di navigazione Ceci non è secondo a nessuno. Dunque, ci auguriamo che sia solo l’inizio.

Altra avventura, ancora italiana, nella gara degli SSV. Quella di Camelia Liparoti, al traguardo di Jeddah insieme alla tedesca Annett Fischer con SSV Yamaha assistito da X-raid, conclusa benissimo al 16° posto.

Ma a farci restare noi con il fiato sospeso è stato Ferdinando Brachetti Peretti, che ci ha fatto tornare indietro con la mente alla notte di Sébastien Loeb.

Brachetti Peretti, con il navigatore Rafael Tornabell, continuava ad essere un punto luminoso sul monitor, immobile dentro la penultima Speciale, Al Ula-Yanbu… ci racconta lui stesso.

 

FBP. “Si, direi che è stata una penultima tappa tra il drammatico e il ridicolo. Alla fine un’esperienza molto divertente, anche se siamo arrivati al bivacco di Yanbu con cinque ore e mezza di ritardo sulla tabella. Tutto procedeva per il verso giusto, ad un tratto la macchina si è spenta. Poco da sperare, era un guasto. Non potevamo riparare, ma avevamo dietro di noi l’assistenza del team. Aspettiamo, ci siamo detti. Quel che non potevamo sapere è che i nostri salvatori Marco (Piana ndr) e il meccanico, Giovannetti, erano molto indietro. Quando finalmente sono arrivati di tempo ne era già passato parecchio. Ci siamo messi tutti la lavoro. Abbiamo aggiustato e siamo ripartiti. Intanto era venuto buio. Abbiamo ripreso la pista all’una di notte, svariati chilometri di dune ancora davanti a noi, un infinito di sabbia illuminato dai nostri fari. Intorno il buio. Finalmente, erano oltre le tre, ormai quasi del mattino, le luci del bivacco di Yanbu. Eravamo di nuovo in gioco. L’ultima tappa, ancora impegnativa, il traguardo finale, il podio di Jeddah. Ce l’abbiamo fatta!

È stata una bella esperienza. Bilancio sicuramente positivo. Mi sono divertito, l’esperienza era nuova. Se devo dire, e non so se questo dipende dal CoViD-19, la credevo più affascinante. Prima era popolata da personaggi, come dire, più avventurosi, adesso è per lo più gente che lavora nel mondo dei motori. E poi, tutti spagnoli, o cecoslovacchi o russi. Qualche americano, italiani pochissimi. Purtroppo in Italia non ha riscontro, non è pubblicizzata, non la fanno vedere in televisione. Si è persa un po’… stavo parlando con un amico, qualche giorno fa, un banchiere. A un certo punto mi ha chiesto: “Ma la fanno ancora la Dakar?”. Insomma, non ho ancora visto la classifica, ma a giudicare dalla durissima selezione nella categoria, io direi che non ce la siamo cavata male. In ogni caso ho capito, l’ottanta per cento del risultato è… arrivare alla fine. Il mio commento è questo: chi corre professionalmente, come Chaleco Lopez, fa dieci rally all’anno per prepararsi alla Dakar, ha una macchina preparata e indistruttibile che va via sui sassi come niente fosse. Se provo a farlo io con la mia, la macchina si apre in due. Questa è la differenza sostanziale. Prima era un’Avventura, poi pian piano è diventata la competizione che è oggi.”

 

© Immagini: “Nani” Roma Media, BRX, Red Bull Content Pool, X-raid, Toyota Gazoo Racing, ASO Médiathèque – DPPI, DPPI-Soldano, KTM, Honda, Rally Zone

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