Il focus mondiale di inizio novembre per qualche giorno non sarà la pandemia, ma il responso delle urne da cui scaturirà la conferma di Donald Trump come inquilino della Casa Bianca o l’arrivo di un nuovo titolare dello Studio Ovale, il democratico Joe Biden.

Non è ovviamente questa la sede per parlare di politica, ma non sfugge a nessuno che dall’esito del voto del 3 novembre deriveranno molte conseguenze, alcune delle quali influiranno decisamente sull’evoluzione prossima dell’intero mondo legato alla mobilità ed alle automobili.

Perché i due contendenti sono portatori di pensieri ed idee radicalmente diversi e l’America dei prossimi quattro anno sarà fatalmente dipendente dal giudizio che gli elettori esprimeranno: una contesa sul filo dei voti, che rispecchia l’identità di una nazione che si presenta alla scadenza elettorale più importante profondamente divisa al suo interno.

Il mercato americano (ma in questo è in buona compagnia…) sta vivendo una fase delicata: secondo le più aggiornate analisi, causa Covid-19 nel 2020 le vendite risulteranno inferiori di almeno il 16% rispetto all’anno scorso, e le aziende locali soffrono per le politiche commerciali aggressive messe in campo dalla concorrenza, soprattutto asiatica, mentre le sfide tecnologiche, elettrificazione delle gamme in primis, impongono investimenti economici robusti, che non tutti possono sostenere.

Con Trump, ancora America First

Nel caso di rielezione di Trump, è facile prevedere che verrebbe confermata la politica protezionistica a favore dell’industria nazionale, con contrasti diretti alla penetrazione commerciale dei marchi stranieri attraverso l’imposizione di dazi su componenti e prodotti finiti, affiancata in parallelo dalla concessione di sostegni alle Case, attraverso sovvenzioni dirette o indirette, come la cancellazione dei limiti alle emissioni inquinanti che non peserebbero quindi sulle aziende in termini di ricerca e sviluppo.

Quella di rifiutare la tesi del riscaldamento globale provocato dall’inquinamento è uno dei cavalli di battaglia del Presidente in carica: vede come fumo negli occhi ogni provvedimento restrittivo sulle emissioni ed ogni campagna a favore della mobilità alternativa.

Un atteggiamento che ha provocato una frattura nelle stesse aziende, tra chi lo sostiene e chi lo osteggia.

Al primo fronte appartengono due delle big factory di Detroit, General Motors e Fiat Chrysler, mentre Ford si è schierata decisamente al fianco di quanti – Tesla in primis – hanno nella mobilità elettrica il loro business core.
 

Biden per la mobilità elettrica

Tale scenario sarebbe destinato a venir radicalmente ribaltato nel caso Joe Biden riuscisse nell’impresa di costringere Trump al trasloco: il candidato democratico, infatti, si è più volte espresso a favore di misure capaci di contenere l’aumento esponenziale delle emissioni, a partire dal piano a suo tempo stilato da Obama, che prevedeva per esempio la soglia minima di 54 miglia per ogni gallone di benzina (tradotto all’europea, 87 chilometri con 3,78 litri di carburante quindi poco più di 23 km/lt)), riportata poi da Trump all’attuale valore di 40 miglia/gallone.

Inoltre, Biden ha più volte ipotizzato incentivi per l’acquisto di vetture elettriche, annunciando un contributo di 7.500 dollari tra i primi provvedimenti che potrebbe prendere una volta insediato. 

Non c’è dubbio, infine, che qualsiasi sia il vincitore delle urne, nulla potrà essere come in passato: le Case, infatti, hanno dato vita alla AAI (Alliance for Automotive Innovation), associazione che sostituisce la AAM (Alliance for Automobile Manufacturers, che riuniva le aziende americane) e la AGA (Association of Global Automakers, che rappresentava i costruttori stranieri attivi nel territorio Usa).

Un segnale forte, che indica come il fronte delle società costruttrici voglia parlare con una sola voce e, soprattutto, chiede che le sue proposte siano ascoltate.

Che resti l’elefantino o arrivi un asinello, insomma, dal 3 novembre qualcosa di nuovo accadrà.

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