I recenti cambi di denominazione della Sauber e dell’Alpha Tauri non convincono i tifosi della Formula 1. Dando troppa rilevanza agli sponsor, si perde la vera identità dei team?


30 gennaio 2024

Stake F1 Team Kick Sauber e Visa Cash App RB Formula One Team: sono i nomi dell’ex Alfa Romeo e della fu Alpha Tauri per la stagione 2024 di Formula 1 a far discutere gli appassionati. A chi non si capacita della macedonia di sponsor e parole in questi nomi, qualcuno fa notare che anche in passato i team avevano delle denominazioni ufficiali piuttosto laboriose. Lewis Hamilton nel 2008 vinse il suo primo titolo con la Vodafone McLaren Mercedes, mentre nel 1996 Rubens Barrichello e Martin Brundle difesero i colori della Benson and Hedges Total Jordan Peugeot.

Pure in tempi recenti ci sono stati degli accrocchi mica da ridere. Basti pensare all’Aston Martin Aramco Cognizant dello scorso anno. La differenza sostanziale tra questi casi e quelli d’attualità oggi è semplice. Al netto delle complicate sponsorizzazioni, quelle scuderie erano la McLaren, la Jordan, la Aston Martin. In questo caso, l’identità al netto del marchio qual è? La Sauber ha le sue ragioni per voler restare in ombra, visto che nell’arco di due stagioni la scuderia diventerà il team ufficiale Audi. Ma la Visa Cash App RB nella sostanza cosa rappresenta?

Che la faccenda si sia complicata lo dimostra il fatto che nemmeno gli addetti ai lavori abbiano la più pallida idea di come chiamare la scuderia. Alcuni colleghi inglesi, tra cui l’affidabile Chris Medland, affermano che internamente il team viene chiamato V-CARB. Che, senza offesa per nessuno, sembra più il nome di una dieta o di un virus che la denominazione di un team di F1. Resta l’opzione Racing Bulls, che, spulciando i documenti della FIA, scopriamo essere la ragione sociale della S.p.a della scuderia di Faenza.

Così come era già successo ai tempi della scelta di Alpha Tauri, il nome dipende dallo sponsor, e la sostanza si perde per strada. In questo caso si è andati un passo oltre, dal momento che Visa, a differenza di Alpha Tauri, non è un marchio del gruppo Red Bull, così come non lo è nemmeno Cash App. Tutto questo è una diretta conseguenza del boom di popolarità di cui sta godendo la F1 negli ultimi anni. Il picco di attenzione nei confronti dello sport da parte di un pubblico sempre più variegato ha indotto a puntare sulla F1 anche un marchio come Visa, che da 15 anni non investiva in una sponsorizzazione sportiva di questa portata.

È solo una delle conseguenze dell’aumento di popolarità della F1. Se da un lato le scuderie riescono ad attirare sponsor di peso, dall’altro i circuiti fanno a gara per entrare in calendario. Con un numero di piste interessate sempre maggiore, i tracciati già in calendario sono disposti a firmare accordi monstre dalla durata decennale, per non rischiare di perdere il proprio posto. E spopolano i progetti legati ai circuiti cittadini, che richiedono esborsi minori rispetto ai tracciati permanenti e rispondono perfettamente all’esigenza di Liberty Media di portare l’azione verso le città, riducendo il “pendolarismo” per arrivare in circuito.

La bolla speculativa che sta interessando la Formula 1 in questo momento, facendo schizzare il valore delle scuderie di maggior peso ben oltre la soglia del miliardo di euro, è destinata a scoppiare, prima o poi. E solo allora vedremo le reali conseguenze sul prodotto Formula 1 delle decisioni che vengono prese oggi. La questione della denominazione dei team è secondaria, e soprattutto reversibile, anche se restano i problemi legati al divieto di sponsorizzazioni legate alle scommesse in alcuni paesi. Più rilevanti sono invece i cambiamenti in calendario. Perché alcune piste sono fondamentali per mantenere la vera essenza della F1. Che è più preziosa di quella dei singoli team. 

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