Cercare di emulare Max Verstappen rende Sergio Perez più lento: è questo il paradosso che sta vivendo il messicano in Red Bull nella stagione 2023 di F1


12 settembre 2023

Ci sono dei momenti in cui sembra che Sergio Perez non corra per la Red Bull. Il divario dal suo compagno di squadra, Max Verstappen, in certe circostanze nella stagione 2023 di Formula 1 si è fatto talmente ampio da rendere difficile credere che i due possano davvero militare nella stessa squadra. Sul bagnato, Verstappen è stato in grado di girare oltre un secondo più veloce al giro di Perez, a parità di gomma.

Una disparità prestazionale, questa, che ha ben presto fatto drizzare le antenne ai fan del complotto, pronti a giurare che la monoposto di Perez non potesse essere uguale a quella di Verstappen. Ma la verità è che non ci sono una RB19 di serie A e una di serie B. È semplicemente una questione di interpretazione, di capacità di sfruttare al meglio il mezzo di cui si dispone. E in questo Verstappen eccelle.

Max predilige le vetture con un anteriore molto preciso, capaci di consentirgli di aggredire l’ingresso in curva per poi controllare alla perfezione il retrotreno, trovando una stabilità che molti altri faticherebbero ad ottenere. Verstappen riesce a pennellare le curve senza mai avere la sensazione di poter perdere il controllo del suo mezzo. Come tutti i grandi campioni, Verstappen riesce a far sembrare semplice ciò che in realtà è molto complesso.

Ma guidare come lui non è un compito per tutti. E non è certamente facile per Perez, che predilige monoposto sottosterzanti. Sergio non riesce a estrarre il massimo dal pacchetto, e cercando di emulare Verstappen fa emergere i suoi limiti. I compromessi a livello di set-up necessari a farlo sentire più a suo agio con la vettura, oltretutto, non fanno altro che evidenziare il divario prestazionale dal compagno di squadra.

Il vero paradosso di Perez è che cercando di emulare le prodezze del suo compagno di squadra avvicinandosi alla sua irraggiungibile perfezione, risulta più lento di quanto non sarebbe se invece accettasse di non poterlo fare. A volte riconoscere i propri limiti è il modo migliore per non incappare in quegli episodi di overdrive che, nel momento sbagliato, possono costituire lo spartiacque di una carriera. Soprattutto se, come nel caso di Perez, ci si ritrova in un ambiente in cui la pazienza non è una virtù abitualmente praticata.

È vero che oggi la Red Bull è perfettamente in grado di vincere pure il mondiale costruttori con il solo Verstappen, ma questo dato di fatto non fa tirare un sospiro di sollievo a Perez. Anzi. Il messicano ha un contratto fino al termine della stagione 2024, ma non è affatto detto che il suo sedile non diventi traballante da qui alla fine dell’anno. Tanto repentinamente fu salvato dal ritiro a fine 2020, quanto altrettanto velocemente potrebbe essere congedato.

“Credo che a volte si metta troppa pressione da solo”, aveva detto di Perez qualche tempo fa il team principal della Red Bull, Christian Horner. Possiamo anche credere che queste sollecitazioni siano parzialmente autoindotte, ma è indubbio che la pressione arrivi anche da minacciose figure interne. Come Helmut Marko, che a Servus TV ha dichiarato con una certa fantasia geografica e una buona dose di razzismo latente che Perez, essendo “sudamericano”, “non ha la testa” dei colleghi europei.

Dichiarazioni, queste, che non fanno certamente bene al morale di un pilota che a Monza ha rialzato la testa, ma che deve dimostrare che la corsa in Italia non ha rappresentato un caso isolato. In casa Red Bull amano sostenere che il futuro dei piloti è sempre nelle mani dei diretti interessati. E un fondo di verità, a ben vedere, in questo caso c’è. Ma Perez riuscirà a capire che la sua smania di essere più veloce lo rende più lento?

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