Corsie ciclabili sotto accusa: i pericoli

Sono sempre più numerose e permettono ai ciclisti di muoversi liberamente in città, senza dover incrociare il traffico dei veicoli a motore – o almeno così dovrebbe essere: le corsie ciclabili o bike lane, invece, si rivelano troppo spesso più pericolose che utili.

Strette, attraversate come niente fosse da auto e furgoni e mal segnalate agli automobilisti, le corsie ciclabili istituite nel 2020 fanno discutere anche a causa di un evidente ritardo legislativo: in mancanza di uno standard condiviso in materia di segnaletica e regolamento, anche le scelte delle amministrazioni più attente sono esposte a inevitabili errori di valutazione, che rischiano di creare un ulteriore pericolo nelle strade cittadine.

Corsie ciclabili o bike lane: cosa sono

Le corsie ciclabili sono state istituite dalla legge dell’11 settembre 2020, nota come Decreto Semplificazioni: qui viene per la prima volta introdotta la voce delle “strade urbane ciclabili” all’interno della classificazione delle strade contenuta nell’articolo 2 del Codice della Strada. La corsia ciclabile viene definita come una “strada urbana ad unica carreggiata, con banchine pavimentate e marciapiedi, con limite di velocità non superiore a 30 km/h, definita da apposita segnaletica verticale ed orizzontale, con priorità per i velocipedi”.

Le bike lane vanno quindi segnalate, ma non è prevista alcuna protezione laterale: la grande differenza tra una corsia ciclabile e la cara vecchia pista ciclabile, istituita in Italia ormai vent’anni fa, sta nella mancanza di una separazione netta tra il percorso stradale dedicato ai ciclisti e quello destinato ai veicoli a motore. Il risultato, stando ai risultati delle prime sperimentazioni nelle città italiane, è un misto di comodità e pericolo, che spesso si risolve nell’invasione di campo da parte di auto, moto e altri mezzi a motore.

Destinate al transito di biciclette e di monopattini, anche elettrici, le corsie ciclabili sono delimitate da una striscia bianca larga 12 centimetri, continua o tratteggiata, e dovrebbero avere una larghezza compresa tra 150 e 250 centimetri. Sono riconoscibili dalla presenza di una sagoma di una bicicletta sull’asfalto, quasi sempre accompagnata da una freccia che indica la direzione della corsia. Per il resto, la segnaletica e il colore delle bike lanes variano di città in città, con risultati non sempre ottimali dal punto di vista della sicurezza stradale.

I pericoli delle corsie ciclabili

In alcuni casi, come nei pressi della Stazione Centrale di Milano, le corsie ciclabili sono protette da cordoli e paletti, ma in linea generale le bike lane non presentano ostacoli concreti per i mezzi a motore – che troppo spesso attraversano le corsie destinate ai ciclisti, o peggio ci parcheggiano impedendo il transito delle bici.

Quando le corsie ciclabili sono segnalate solo a terra e non sono protette da strutture fisiche di alcun tipo, nulla impedisce ai veicoli a motore di attraversarle – irrompendo pericolosamente in un tratto di strada che dovrebbe essere a uso quasi esclusivo dei ciclisti.

Il ritardo normativo non gioca a favore della mobilità urbana sostenibile: ad oggi, nonostante nelle nostre città siano sempre più numerose, le corsie ciclabili non dispongono di una segnaletica unica e riconoscibile, e non esistono indicazioni univoche per quanto riguarda la dimensione e la posizione dei percorsi stradali di questo tipo.

Capita quindi di trovarsi a percorrere corsie ciclabili strettissime e quasi impraticabili, come a Genova, oppure di finire imbottigliati nel traffico dei veicoli a motore nonostante si dovrebbe poter contare su una corsia riservata, come avviene nelle vie più trafficate di Torino nelle ore di punta. Seguendo l’esempio delle città italiane in cui pedoni e ciclisti hanno già la precedenza su tutti i mezzi a motore, l’auspicio è che si possa finalmente aggiornare il Codice della Strada con quanto previsto dal Decreto Semplificazioni, e rendere davvero più semplice la vita di chi sceglie la mobilità dolce in città.

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