“Non è che gli italiani ce l’abbiano con l’elettrificazione, semplicemente hanno bisogno di una presa elettrica”. È anche così che Andrea Cardinali, segretario generale di Unrae (Unione nazionale rappresentanti autoveicoli esteri), commenta i dati di fine anno (o quasi) sul mercato dell’auto in Italia.

In un 2022 “molto triste”, che dovrebbe chiudersi con sole 1,3 milioni di immatricolazioni (-31,8% rispetto al 2019) per colpa di crisi e tempi di consegna molto lunghi, a fare capolino è soprattutto un fatto molto curioso: l’Italia è ultima fra i 5 grandi mercati europei per vendite di auto elettriche (BEV) e plug-in (PHEV), pur piazzandosi al primo posto per immatricolazioni di altre vetture ibride elettrificate.

Testacoda

“La transizione è ormai avviata – ricorda Cardinali, mostrando i numeri dei primi 11 mesi del 2022 –, ma le auto alla spina sono indietro”. Il confronto con i big del Vecchio Continente sgombra il campo dai dubbi: se in Germania le vetture full electric e ibride plug-in fanno insieme il 38,2% del mercato, il Belpaese si ferma all’8,8% (5,1% di PHEV e 3,7% di BEV).

 GermaniaRegno UnitoFranciaSpagnaItalia
PHEV12,5%6,3%8,2%5,8%5,1%
BEV15,7%15,1%13%3,7%3,7%
Totale38,2%21,4%21,2%9,5%8,8%

In mezzo ai primi e agli ultimi della top 5, si classificano Regno Unito (21,4%), Francia (21,2%) e Spagna (9,5%). Ma la situazione si ribalta guardando gli ibridi elettrificati non ricaricabili (mild e full hybrid): l’Italia è prima della classe, con il 34% di quota. Cosa significa? Che “le condizioni non stimolano ad andare in una certa direzione”. A prendere parola stavolta è Michele Crisci, presidente di Unrae.

 ItaliaRegno UnitoSpagnaFranciaGermania
HEV34%30,2%29,3%21,6%18,2%

La ricetta Unrae

E non è solo una questione di “tradizione produttiva”, perché “anche la Germania ne ha una importante almeno quanto la nostra”. È invece evidente che “non si stanno ponendo le basi”: un’operazione che dovrebbe essere in cima alla lista delle cose da fare. Ma quali sono? Unrae le elenca:

  • mantenere e potenziare gli incentivi all’acquisto almeno fino al 2026
  • elaborare politiche infrastrutturali per la ricarica elettrica e il rifornimento a idrogeno
  • rivedere l’impianto fiscale del settore auto
  • pianificare la riconversione industriale della filiera
  • sostenere altri interventi a favore del trasporto merci e di quello collettivo di persone

Il 2023? Un po’ meglio

In attesa di una scossa dalla politica, non resta che aggrapparsi alla speranza di un futuro migliore. E il 2023 potrebbe essere già l’anno della (leggera) ripresa, con la promessa di 1,4 milioni di immatricolazioni, pari a una crescita del 7,7%.

Basterà? Sicuramente non a rinnovare il parco auto italiano, tra i più vecchi in Europa, con un’età media di 12,2 anni. Sono quasi 10 milioni (circa il 25%) le vetture con classe ambientale precedenti all’Euro 4. Di questo passo, serviranno 30 anni per sostituirle tutte. Intanto, però, continueranno a circolare sulle nostre strade, ancora sprovviste di sistemi Adas, rappresentando la “mina vagante” della mobilità.

Giorgia Meloni, presidente del Consiglio

Lettera a Giorgia Meloni

La transizione va dunque cavalcata, per non perdere appeal a investire e, soprattutto, posti di lavoro nella filiera. Crisci scrive quindi una lunga lettera al capo del Governo per lanciare l’appello a non giocare in difesa nella partita del cambiamento.

“Buongiorno On. Meloni, Presidente del Consiglio,

Mi rivolgo a Lei dal palco di questa conferenza stampa, le scrivo da Presidente di Unrae, una delle associazioni più illustri e longeve della storia dell’Automotive in Italia.

Un’Associazione che in 70 anni di storia è stata capace di costruire basi solide e continuative per accogliere in Italia una lunga serie di operatori esteri, accompagnandoli e supportandoli in un cammino che non è stato certamente facile, specialmente ai tempi delle quote fisse di importazione.

Sono aziende che negli anni hanno provveduto ad importare e distribuire milioni di autovetture, veicoli commerciali, industriali e bus, automezzi che rappresentavano sempre il meglio della tecnologia del momento – spesso non disponibile in Italia – e che hanno garantito mobilità a persone e merci sulle nostre strade con la massima efficienza e sicurezza possibili.

Si tratta di investitori che hanno portato lavoro e ricchezza al nostro Paese Portando allo stesso tempo crescita economica e sociale.

Unrae, con i suoi Presidenti dal 1950 ad oggi, ha avuto sempre confronti costruttivi con tutti i 60 Governi – di ogni formazione politica – che nel frattempo si sono succeduti in Italia, nonché con le amministrazioni locali, attraverso le Regioni, le Province e i Comuni.

In questi decenni abbiamo anche interloquito, con mutua soddisfazione, con il cd “costruttore nazionale” che non fa parte della nostra associazione ma con il quale – ancora oggi che difficilmente lo si può ancora definire tale – ci confrontiamo regolarmente pur nel massimo rispetto della libera concorrenza. La stessa che caratterizza sempre i rapporti fra membri della Associazione. Sì, perché la competizione libera e corretta è alla base della crescita, del mercato e delle aziende.

I marchi che noi rappresentiamo hanno contribuito allo sviluppo del nostro Paese in generale, ed in particolare della nostra Industria, anche e soprattutto nell’area della componentistica la cui qualità è nota in tutto il mondo.

Sì Presidente, anche nell’auto esiste il “Made in Italy” ed esiste grazie alle sfide vinte nel mondo.

Mi rivolgo a Lei perché in un Suo recente discorso, prima di andare al governo, Lei ha espressamente detto, tra le altre cose, di essere fiera di essere Italiana e di essere Madre.

Bene da qui vorrei partire….

Io sono Italiano, come Lei, e fiero di esserlo anche e soprattutto quando rappresento il nostro Paese all’estero, nel mio Headquarter svedese. Sì perché noi siamo uno dei pochi paesi al mondo che hanno scritto la storia dell’Automotive, innovando nelle tecnologie, nel design e nei contenuti.

Negli ultimi anni, tuttavia, il mondo e con esso “il nostro mondo” dell’Automotive sta cambiando radicalmente, l’introduzione ormai definitiva di nuove tecnologie motoristiche che riducano fortemente l’impatto ambientale, di tecnologie legate, all’elettronica, al digitale, all’intelligenza artificiale, stanno profondamente sfidando la capacità dell’Italia di tenere il passo.

I sacrosanti target ambientali dettati dall’Europa, e ripeto sacrosanti, impongono una riconversione industriale rapida ed efficiente, basata su queste nuove tecnologie e non sulla difesa del passato, su una capacità di innovazione che, sola e quale condizione irrinunciabile, potrà ridarci il posto che meritiamo come Paese in questo settore strategico, in Europa e nel Mondo.

Non possiamo difenderci arroccandoci su posizioni passate e su tecnologie passate, basti pensare che nella componentistica, per esempio, oltre il 60% del fatturato delle aziende italiane si sviluppa verso le aziende estere che Unrae rappresenta.

Le chiedo cosa succederà alle nostre aziende italiane quando le loro clienti estere, come sta accadendo, si concentreranno velocemente sul fabbisogno solo di queste nuove tecnologie? Come saranno in grado le aziende della componentistica italiana di rispondere a questa sfida per mantenere quel 60% di fatturato… senza il quale è facile prevedere la loro chiusura e la perdita di migliaia di posti di lavoro?

Difendere il passato non significa proteggere l’Italia dagli “invasori esteri” come qualcuno continua a dire in giro… piuttosto ahimè significa consegnare le nostre aziende ad un futuro… senza futuro.

E allora: come velocizzare questa riconversione?

Dando direzioni chiare al mercato (operatori e clienti, sia aziende che consumatori) sull’accoglimento delle nuove tecnologie. Perché solo un mercato in salute (e quello italiano non lo è più da tempo) può rappresentare un’interessante area dove investire, sia per le nostre aziende che per quelle estere.

Sì, perché quello a cui stiamo assistendo in Italia è una serie di provvedimenti poco pragmatici, quasi di facciata o che spesso, per non si capisce quale “fine ultimo sociale”, restano incompiuti e inefficaci.

Mi riferisco, è chiaro, agli incentivi basati sulle classi di CO2, che prima sono stati ben pensati su base triennale e poi sono stati rovinati da limitazioni senza senso, quali le soglie di prezzo o l’esclusione delle aziende, che di fatto ne hanno completamente sterilizzato l’efficacia.

Ma mi riferisco anche e soprattutto alla ormai cronica assenza di una revisione fiscale sull’Automotive, per le auto aziendali e non solo, soprattutto alla luce dei chiarissimi segnali dati in questa direzione dalla stragrande maggioranza dei mercati europei, da ultimo il Belgio, dopo Norvegia, Olanda, Germania e Francia.

Le aziende Italiane non possono essere solo un vanto del “Made in Italy” quando vendono i loro prodotti, dovrebbero essere tutelate nella competizione verso i mercati europei e mondiali anche quando acquistano, in questo caso le auto.

La conseguenza di questi provvedimenti non chiari e di altrettanti messaggi non chiari o di segno completamente opposto, talvolta mirati unicamente ad una sterile raccolta di consensi, sono i dati che mostrano l’Italia unico paese europeo che retrocede nelle vendite di auto con la spina e resta fanalino di coda dei Major 5 markets europei.

Così non si attraggono gli investimenti dall’estero, al contrario si rallenta la transizione. Così non si proteggono le aziende italiane, le si mettono fuori mercato per molti decenni a venire.

L’Italia deve poter contare su infrastrutture di ricarica in grado di convincere gli italiani di quale sia la scelta da fare, con impianti di ricarica potenti, capillari su tutto il territorio italiano, su tutte le autostrade e le strade di maggior traffico. Oggi per l’elettrificazione, domani o forse prima, per l’idrogeno. Investire sulle infrastrutture sarà una grande opportunità per le aziende italiane, esattamente quelle che vogliamo difendere.

So quanto Lei sia consapevole della fortuna di tutti noi che viviamo in questo meraviglioso Paese, costellato di bellezza e meta di tutto il turismo mondiale. E quindi ben consapevole del PIL che il turismo genera. Ecco, facciamo che i turisti che raggiungano l’Italia in auto possano davvero trovare dove e come ricaricare le loro auto, pensiamoci con serietà.

Chiudo questa mia lettera a Lei, Presidente del Consiglio, riallacciandomi a quando Lei ha detto con orgoglio di essere madre.

Io sono papà di una ragazza di 15 anni, e sento tutto il dovere, tutta la pressione e tutta l’urgenza di iniziare con serietà a invertire la rotta che il nostro pianeta ha preso, una rotta che noi abbiamo segnato con i nostri comportamenti anche nell’esigenza di diffondere benessere e sicurezza.

Oggi la tecnologia ci può aiutare a continuare su questa strada di diffusione del benessere ma al contempo ci può aiutare, ed è in grado di farlo mi creda, a invertire il degrado a cui abbiamo consegnato il nostro pianeta.

E allora approfitto per affrontare un ultimo argomento che forse avrebbe potuto essere il primo, il parco circolante italiano di auto e veicoli commerciali leggeri e pesanti. Il più vecchio e numeroso d’Europa. Non voglio raccontarLe di nuovo le cifre, ormai sono chiare a tutti. Il parco auto, così come quello dei veicoli commerciali va rinnovato con somma urgenza.

Le auto legate ai cicli omologativi ante euro 5 (4,3,2,1) vanno gradualmente ma velocemente sostituite, aiutando chi non è in grado di farlo con scivoli verso ibridi o piccoli endotermici nuovi e/o usati di ultima generazione, virtuosissimi rispetto alle auto che guidano, che invece vanno inderogabilmente rottamate.

Non possiamo pensare e nemmeno aspettare che sia l’elettrico o l’idrogeno la soluzione in questo caso specifico perché la legge della domanda e dell’offerta e i costi relativi non lo consentirebbero.

Ci vuole pragmatismo, ci vuole la capacità di individuare le soluzioni giuste a misura delle problematiche urgenti, ma ci vuole anche la visione per mettere a terra strategie per il prossimo futuro. Abbracciare le nuove tecnologie velocizzandone l’adozione a partire dai soggetti che hanno la disponibilità di farlo, velocizzando al contempo, l’abbattimento dei costi e dei prezzi, questo è l’unico modo per aumentarne la diffusione per tutti. Come sempre è successo alle innovazioni nel corso della storia. Solo le nuove tecnologie ed il loro accoglimento possono difendere il tessuto sociale ed economico di questo meraviglioso paese, accrescendone il PIL per il benessere di tutti.

Un benessere sostenibile, Presidente, che va ormai irrinunciabilmente ricercato e trovato anche al nostro pianeta per il futuro dei nostri figli. Questo è il dovere di una madre e di un padre… ma più in generale mi creda questo è il dovere di tutti.

Grazie Presidente e buon lavoro”.

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