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Cambiano i tempi, si alternano i capi azienda, vengono ricostruiti nomi e società, ma l’insofferenza per le associazioni di settore di quella che era la Fiat, poi FCA e ora Stellantis resta la stessa.

Sembra lontana un’era geologica la frase attribuita a Vittorio Valletta, deus ex machina della Casa torinese per vent’anni, dal 1946 al 1966, che suonava più o meno così: “Quello che va bene per la Fiat va bene per l’Italia”

Era il periodo, proseguito con l’Avvocato, Gianni Agnelli (che fece sua questa espressione), in cui la Fiat orientava le scelte dei governi senza neanche fare troppa fatica, visto che rappresentava la più grande impresa manifatturiera del Paese.

Bye bye Acea

Le cose sono via via cambiate e si è arrivati al punto che se la lobby finisce, la lobby fallisce. L’ultimo abbandono in ordine di tempo è recentissimo: Stellantis lascia l’Acea, l’associazione dei costruttori europei, per costituire una sorta di think tank o gruppo di pressione sui temi della transizione ecologica, chiamato Freedom of Mobility Forum. 

Carlos Tavares

Le ragioni di questo strappo non sono ancora note con chiarezza e verranno comunicate in seguito, ma alcuni osservatori le riconducono alle divergenze con i costruttori tedeschi, che, al contrario di Stellantis e del suo ceo, Carlos Tavares, hanno appoggiato la decisione di Commissione e Parlamento europeo di mettere al bando la vendita entro il 2035 di vetture con motori climalteranti (in pratica benzina e diesel).

Del resto, Tavares aveva manifestato la sua contrarietà in più di un’occasione, non perché Stellantis non sarebbe stata pronta dal punto di vista industriale, ma per via di una scelta definita ideologica, alla faccia della neutralità di tecnologie. E lo stesso Tavares aveva insistito molto (in un primo tempo spalleggiato anche dal gran capo di Volkswagen, Herbert Diess) sui pesanti riflessi sociali che l’impianto normativo europeo avrebbe generato.

Lo strappo con Confindustria

Una rottura ancora più clamorosa risale a dieci anni fa: nel gennaio 2012, per decisione dell’allora ceo group, Sergio Marchionne, Fiat usciva da Confindustria. Materia del contendere l’applicazione dei contratti aziendali, prevalenti su quelli nazionali (nello specifico l’articolo 8 della Finanziaria sulla flessibilità del lavoro), tanto che a Pomigliano e Mirafiori, infatti, venne applicato un contratto separato, senza la firma dalla Cgil (fatto inaudito nella storia delle relazioni sindacali italiane), ma sottoscritto da tutte le altre rappresentanze sindacali. 

marchionne

Sergio Marchionne

L’uscita da Confindustria suscitò scalpore anche perché tra i past president (ex numeri uno) dell’associazione di viale dell’Astronomia c’erano sia Gianni Agnelli, sia Luca Cordero di Montezemolo, che durante il loro mandato ricoprivano per l’appunto la carica di presidente della Fiat.

Niente associazioni per i brand Stellantis

Fiat, poi FCA e dopo Stellantis non fanno parte delle associazioni verticali di settore della Confindustria, Anfia e Aniasa (per la verità tra i soci di quest’ultima compare Leasys, la società di noleggio e mobilità integrata del gruppo, con la strana definizione di: “Adesione tecnica”). 

Nessuno tra i brand non italiani di Stellantis compare nell’organigramma dell’Unrae, l’associazione delle Case estere, mentre quest’anno il gruppo è uscito da Motus-E, il movimento per la promozione dell’elettrico, lasciando il solo marchio Free2move eSolutions.

Insomma, un’ecatombe di disdette, mancate adesioni, improbabili rientri, anche se qualcuno vede uno spiraglio di recupero nei buoni rapporti tra il presidente degli industriali di Torino, Giorgio Marsiaj e lo stesso Tavares. 

Certo è che l’allergia di Fiat-FCA-Stellantis al mondo della rappresentanza di categoria appare endemica. Quote di adesione mal spese? Differenze strategiche? Insoddisfazione per l’attività di lobbying in qualità di gruppi di pressione? Pare comunque che per Stellantis valga, almeno in Italia, il vecchissimo adagio: chi fa da sé fa per tre.

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