Formula aggiornata

La seconda generazione della Toyota C-HR riprende le forme “da concept car” del primo modello (del 2016), reinterpretandolo attraverso lo stile delle più recenti Toyota. Meccanicamente è imparentata con la Corolla ed è, in pratica, la “sorella” più attenta allo stile che alla praticità della Corolla Cross, che adotta la stessa meccanica e costa, a parità di allestimento, un paio di migliaia di euro in meno. Di sicuro è un’auto che non passa inosservata (specie con la vernice bicolore, di serie per la Lounge Premiere del nostro test), ma queste sue forme impongono dei compromessi: la visibilità posteriore è ridotta (comunque i sensori di distanza dietro sono di serie per tutte e sulle più ricche c’è pure lo specchietto-monitor) ed è richiesto di chinare un po’ la testa per accedere al divano. Ma, una volta a bordo, lo spazio in altezza non è male. A proposito, anche nelle porte posteriori si ritrovano delle belle maniglie a scomparsa, che non fanno per nulla rimpiangere (anzi…) quelle montate in alto sulla precedente C-HR, che erano scomode da raggiungere per bambini e persone di bassa statura. 

Due full hybrid

Oltre alla 2.0 plug-in da 223 CV che abbiamo già guidato in anteprima (qui il primo contatto), ci sono due versioni full hybrid della Toyota C-HR: la 1.8 da 140 CV e la 2.0 da 197 CV del test, le cui consegne iniziano in questi giorni. Di quest’ultima c’è pure la variante 4×4: la potenza combinata non cambia, nonostante il motore elettrico aggiuntivo che muove le ruote dietro. I prezzi partono da € 35.700 per la 1.8 HV in allestimento Active, che è dotato di tutto punto per quanto riguarda la sicurezza, ma per il resto è un po’ scarno. La più “centrata” 1.8 HV Trend (con regolazione del supporto lombare e sistema multimediale di 12,3” anziché di 8”) si paga € 39.200 e la ricca Lounge, che aggiunge cose come tetto panoramico, sedile di guida a regolazione elettrica, portellone motorizzato e rivestimenti in finta pelle e microfibra, € 42.200. Richiede altri € 1.500 la Premiere del test, in vendita solo nel primo anno e particolarmente ricca: ha gli interni in pelle, l’hi-fi della specialista JBL e l’head-up display. A parità di allestimento, la 2.0 costa 2.000 euro in più: è più scattante ma non beve molto di più.

Per stile e sicurezza

Nella Toyota C-HR montaggi e materiali convincono, almeno davanti; dalla Lounge ci sono anche luci d’ambiente in 64 colori anziché bianche e queste hanno anche una funzione di sicurezza: per esempio, se qualcuno sopraggiunge da dietro e stiamo aprendo la porta, questa si illuminano di rosso per avvisarci del pericolo. Il design è curato ma non mette in secondo piano la praticità: tutti i comandi sono fisici e facili da individuare e azionare, a partire da quelli del “clima” bizona, di serie per tutte. È stata introdotta anche una levetta sul tunnel per variare le modalità di guida, che era assente sulla precedente Toyota C-HR. Curata pure la grafica del cruscotto digitale di 12,3”, che è ampiamente personalizzabile e mostra anche le mappe del navigatore; da qui, usando i grandi tasti al volante, si gestiscono anche i tanti aiuti alla guida (di serie dalla “base” la guida semiautonoma, il monitoraggio dell’angolo cieco e altro): non molto pratico, specie in movimento. 

Fa poco ma bene

Luci e ombre anche per il nuovo sistema multimediale, che è ripreso dalle più recenti Toyota. Ha una diagonale di 12,3” ed è ben leggibile e reattivo. Ha Android Auto e Apple CarPlay senza fili di serie, e poche altre funzioni, che presenta sola una per volta. Sarebbe utile, ad esempio, per cambiare la traccia audio o la stazione radio senza dover uscire dalla mappa del navigatore (che è di serie per tutte).

Dietro? poco attrezzata

La Toyota C-HR è sempre stata stata un’auto che punta più sullo stile che sulla praticità e questa seconda generazione non fa eccezione. Le porte sono corte e non si aprono a 90° e i finestrini dietro risultano piccoli ma, almeno sulle più ricche, il tetto in vetro di serie dona luminosità: è senza tendina poiché ha un trattamento che non lascia passare i raggi ultravioletti e limita la dispersione del calore interno. Chi siede sul divano ha un discreto agio (solo chi supera i 185 cm “tocca” con la testa) ma dispone di un’unica presa Usb e mancano le bocchette dell’aria e le tasche sui pannelli porta, che sono in plastica dura perfino sui braccioli ma, almeno, integrano due portabibita. Neppure il bagagliaio è generoso per una crossover (siamo sui livelli di una media a cinque porte) e sulla 2.0 perde 24 litri rispetto alla 1.8; in compenso, è di forma regolare e ben rifinito benché privo di fondo ad altezza variabile: sotto il piano c’è spazio solo per il kit di riparazione delle gomme.

Niente guida irruenta

La meccanica ibrida è quella delle più recenti Corolla e Corolla Cross. Sulla 2.0 del test il motore elettrico da 113 CV lavora assieme al quattro cilindri a benzina da 152 CV, per 197 CV combinati di picco. Come in tutte le Toyota ibride, non c’è un vero e proprio cambio ma una serie di ingranaggi epicicloidali che “miscelano” le potenze che arrivano dai due motori. Questo vuol dire che a bassa velocità si marcia spesso e volentieri in elettrico, con una fluidità invidiabile. Il rovescio della medaglia è che, quando si preme più a fondo il pedale dell’acceleratore (come durante un sorpasso o in salita), i giri del 2.0 salgono repentinamente, riducendo il comfort acustico: è il cosiddetto “effetto scooter”. Sulla 2.0 del test, comunque, la velocità cresce rapidamente: i quasi 200 cavalli sono “in forma”. Ben tarati anche sterzo e freni: l’auto segue fedelmente la traiettoria impostata, perfino sulle strade bagnate che abbiamo incontrato durante il test. Queste non ci hanno però permesso di valutare con accuratezza la potenza della frenata (comunque ben modulabile) e il relativo giudizio è rimandato a una futura prova strumentale. Positivo il feedback sull’assorbimento delle sospensioni, almeno sui poche asperità del fondo incontrate sulle lisce strade spagnole della presentazione, mentre già a 100 km/h si segnalano fruscii.

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