In che modo arrivano le auto DR sul mercato? Facciamo chiarezza a seguito dell’avvio dell’istruttoria dell’Antitrust (Autorità garante della concorrenza e del mercato) nei confronti del Gruppo molisano.

Partiamo proprio da ciò che viene riportato sul sito ufficiale dell’AGCM che recita “Secondo l’Autorità la società avrebbe fornito informazioni ingannevoli riguardo al luogo di produzione degli autoveicoli a marchio DR ed EVO” con “possibili condotte illecite durante la promozione e la vendita delle autovetture a marchio DR ed EVO, in violazione delle norme del Codice del Consumo”. 

In pratica secondo il garante la Casa fondata da Massimo Di Risio “rappresenterebbe in modo non corretto, sia sul proprio sito internet aziendale, sia in campagne pubblicitarie online e sui mass media le informazioni che riguardano il luogo di produzione degli autoveicoli a marchio DR ed EVO”.

Si tratta come detto di un avvio di istruttoria, ora il garante attenderà la risposta del Gruppo DR per determinare come proseguirà il caso. 

Il Molise non esiste?  

Un tormentone preso come punto di partenza per la propria campagna di comunicazione, quel “Il Molise non esiste” ribaltato e portato come punto di forza per le auto DR ed EVO. “Una storia italiana” recitava il claim al termine dello spot lanciato a fine 2021. Proprio da qui è partito l’esposto dell’Antitrust: la storia di DR finisce in Italia, ma ha origini ben più lontane.

Sportequipe 7

C’entra infatti la Cina, dove nascono le vetture di Chery, JAC Motors e Baic (brand con i quali la Casa italiana ha accordi commerciali) utilizzate dal Gruppo DR come base di partenza per i propri modelli. Tutti. Dalla DR 5.0 (basata sulla Chery Tiggo 5X) alla Sportequipe 7 (versione rimarchiata della Chery Tiggo 8 Plus) passando per la EVO3 e la ICKX K2. 

Di sicuro esiste la Cina

A prescindere dal brand (del Gruppo fanno parte DR, EVO, Sportequipe e ICKX) ogni auto ha DNA e fabbricazione cinese. Non si tratta quindi di un accordo per lo sfruttamento di piattaforme o tecnologie di firma cinese ma poi riadattate in toto da DR, come avviene per esempio per la Ford Explorer, basata sulla piattaforma MEB di Volkswagen ma sviluppata poi dalla Casa statunitense.  

Chery Tiggo 8 Plus

Ogni singola auto appartenente alla galassia DR infatti viene prodotta in Cina. O meglio, i suoi componenti che, dopo un lungo viaggio in nave, sbarcano in Italia e vengono trasportati nello stabilimento molisano di Macchia D’Isernia (l’unico di proprietà DR) per essere assemblati e personalizzati nei loghi e nei motori. A differenza dei modelli cinesi infatti le controparti DR montano impianti a GPL, non presenti sul mercato orientale.

Il termine tecnico è quindi “Fabbrica cacciavite”, anche se evoluta rispetto al passato. Non arrivano telaio “nudi” da vestire e infarcire poi con carrozzeria e meccanica. Ed ecco il motivo del contendere: se a Macchia D’Isernia le auto vengono “solo” assemblate e modificate, si può parlare di made in Italy

Bisogna comprendere come funziona oggi il mondo dell’auto. Se infatti sono numerose le fabbriche che assemblano pezzi provenienti da produzioni interne al Gruppo di riferimento, esistono anche stabilimenti dove convergono elementi di terze parti. Torniamo alla Ford Explorer e la sua piattaforma MEB 100% Volkswagen. Di esempi in questo senso ce ne sono in abbondanza. O ancora la Fiat 500 termica, prodotta in Polonia a Tychy.   

Come detto all’inizio spetterà ora al Gruppo DR rispondere all’antitrust. Quello che è chiaro è come la questione del contendere non sia sul metodo di produzione delle auto, ma di come questa venga comunicata ai consumatori, stressando – spesso anche in maniera maggiore rispetto a costruttori italiani con una storia molto più lunga – la propria italianità.

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